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Kairos: ecco le sette regole d’oro nella gestione del risparmio

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La tradizionale diversificazione tra azioni e obbligazioni

Siamo talmente abituati a ragionare con questa spaccatura mentale che perfino noi, addetti ai lavori, a volte nelle discussioni usiamo legare il rischio alla sola percentuale di azioni in portafoglio. E’ sbagliato. La politica dei tassi a zero o negativi delle Banche Centrali ha trasformato il concetto stesso di rischio o di risk free. Lo scorso anno l’Austria ha emesso un bond con scadenza centennale a un tasso di poco superiore al 2%. Se ci fosse un rialzo dei tassi di solo l’1% – un’inezia guardando qualunque grafico di lungo termine – la perdita sull’investimento sarebbe di quasi il 50%! Nessuno ha obbligazioni centenarie in portafoglio, ma tutti abbiamo scadenze più o meno lunghe. Dire che un portafoglio oggi è a basso rischio perché magari ha solo un 20% o 30% investito in azioni può essere totalmente fuorviante. Cercate di capire bene il rischio complessivo del portafoglio.

La correlazione tra rischio e rendimento

Mentre potremmo dare per scontato che tutti conoscano la correlazione tra rischio e rendimento – per ottenere rendimenti più alti devo rischiare di più, non è altrettanto noto che la nostra mente ci porta ad avere naturalmente un’avversione al rischio in molti casi eccessiv. Mi baso sulle teorie di finanza comportamentale alle quali hanno assegnato due premi Nobel negli ultimi venti anni. Questo può rappresentare un notevole ostacolo alla costruzione di un portafoglio corretto e penalizzare i rendimenti attesi (o averne di irrealistici). Cercate di confrontarvi su questo.

Diversificare

Già, ma come? Una delle più grandi frustrazioni di un risparmiatore è vedere la sostanziale omogeneità dei rendimenti generati da società di gestione diverse. La ragione risiede nel disallineamento di interessi tra clienti e gestori i quali spesso, per loro natura e dimensione, tendono a non discostarsi dai rendimenti di mercato (benchmark) per non assumersi rischi gestionali veri. Così è il cliente stesso che, senza rendersene conto, diventa gestore di se stesso quando per esempio decide di avere il 70% in obbligazioni e il 30% in azioni. I gestori faranno riferimento a quel mandato cercando di discostarsene il meno possibile, ma di fatto tradendo lo spirito dell’incarico e vanificando la ricerca della diversificazione. Se scegliete gestori diversi, sinceratevi che facciano veramente cose diverse. E che possibilmente investano anche loro in quello che propongono.

L’orizzonte temporale degli investimenti

Per quanto molti di Voi non abbiano esigenze di liquidità o possano programmarle, la preferenza verso la liquidabilità immediata degli investimenti è molto forte in particolare in Italia. Questo genera due ordini di problemi. La rinuncia a rendimenti più alti che, nella stragrande maggioranza dei casi, veicoli di investimenti con durate più lunghe riescono ad ottenere. E la vendita di molte posizioni al primo serio ribasso di mercato con, di fatto, il consolidamento di una perdita secca. Abbiate la consapevolezza che in particolare nel mondo di oggi, con oltre il 50% dei volumi scambiati provenienti da sistemi algoritmici o fondi indicizzati, non avete nessuna chance – e dico nessuna – di anticipare o contenere eventuali oscillazioni di mercato dalle quali, invece, è bene tenersi alla larga.

La diversificazione valutaria

La mia esperienza dice che a volte si ponga grande attenzione al livello di rischio di azioni, obbligazioni societarie, etc., ma che si investa tranquillamente il 30% o più del proprio patrimonio ad esempio in dollari. Ora, le valute sono l’investimento meno prevedibile sui mercati finanziari e uno dei più volatili. Posizioni valutarie importanti possono vanificare il lavoro del gestore (o magnificarlo) e rappresentano quello che sono: un investimento speculativo. La decisione va quindi presa dopo un’attenta analisi del patrimonio personale e gli investimenti in valuta andrebbero segregati su conti diversi, per poter capire anche la bontà dell’operato del gestore.

Il controllo dei costi

La discussione sui costi credo sia più complessa e delicata di quanto sembri. L’attenzione ai livelli commissionali è sacrosanta vista l’opacità dell’industria su questo fronte. Ma come sempre dipende da che cosa sto pagando io come cliente. Se devo pagare per una gestione a benchmark di cui al punto 3, il costo giusto sarebbe zero o poco più. Nel mondo di oggi posso replicarla con strumenti passivi a pochi centesimi. Se ho l’opportunità di investire con Soros o Warren Buffett pago anche il 5% e sono un cliente felice. Un bravo gestore si pagherà sempre il suo costo. Analizzate attentamente i rendimenti storici al netto delle commissioni dei gestori a cui vi affidate e state attenti, nel tagliare i costi, a non tagliare anche i rendimenti.

Tenere sulla scrivania una copia dell’Odissea

La parte in cui Ulisse si fa incatenare per resistere al canto delle Sirene è non solo una storia meravigliosa ma anche il vero segreto per proteggere e accrescere il proprio patrimonio nel tempo. Soprattutto nelle fasi di mercato come quella che stiamo vivendo i canti arrivano in particolare da due fonti. L’industria finanziaria, che produce sempre con rinnovata fantasia ogni genere di prodotto e di rendimento potenziale futuro. E i salotti, dove tutti noi conosciamo almeno un personaggio che è diventato ricco con i bitcoin, che ha comprato il petrolio a 40 dollari e che aveva venduto tutto nel settembre 2008. Senza disciplina non riusciamo a rispettare le regole di cui sopra e non possiamo creare valore nel tempo.

Fonte: www.kairospartners.com

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