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Kafka ammira l’energia di Voltaire

Voltaire è appena saltato giù dal letto con il berretto da notte ancora in testa e la camicia da notte in dosso. Intento con una mano a tirarsi su i pantaloni, protende l’altra in un gesto imperioso verso lo scrivano per intimargli, “scrivi!”. Lo scrivano è già lì a pochi passi pronto, con la penna in mano, a trasferire le parole di Voltaire su un quadernone che poggia su un tavolo in stile Luigi XIV. La luce piena del giorno attraverso la finestra sta a significare che Voltaire non si è svegliato di primissimo mattino. Amava dormire. Forse alimentava la sua vena creativa che si sprigionava immediatamente al riseglio.

Jean Huber, La sveglia di Voltaire, Museo Carnavalet, Parigi

Voltaire ha gli occhi sfavillanti, i lineamenti in tensione, appare tonico, esuberante, carico di energia già appena alzato dal letto. Mentre si infila le brache inizia subito a dettare allo scrivano i pensieri che gli sono guizzati in testa all’immediato risveglio. Un cagnolino sembra condividere questo rito che evidentemente non è insolito.

“La sveglia del filosofo di Ferney, acquaforte conservata alla Biblioteca Nazionale di Parigi. Chiaramente ispirato dal ritratto di Huber ci sono delle varianti importanti.

Ha ritratto la scena il giurista e pittore per passione Jean Huber (1721–1786). Huber rientrava nel novero degli amici ginevrini di Voltaire. I numerosi ritratti di Voltaire, in parte caricaturali, gli valsero la fama e il soprannome di “Huber-Voltaire”. La zarina Caterina II lo incaricò di dipingere un intero ciclo di scene dalla vita domestica del filosofo (che poi andarono distrutte in un incendio). Anche il quadro visto da Kafka nel museo parigino era un lavoro su commissione, eseguito da Huber in diverse varianti: in alcune è presente il cane, in altre no.

Voltaire non era per niente contento di questo ritratto. Se ne lamentò pubblicamente: lo aveva reso ridicolo da un capo all’altro dell’Europa. Ma questa non era l’idea di Kafka. Ricorda infatti Brod.

Kafka si soffermò davanti a una vecchia incisione che raffigurava un episodio della vita di Voltaire; non riusciva a distogliersi da quell’immagine, e anche in seguito ne parlò spesso.
Capivo bene che cosa affascinasse tanto Kafka … in quell’incisione: il fuoco spirituale, la straordinaria vitalità di una persona eletta, che si trasfonde direttamente nello spirito.

Il pathos nella descrizione di Max Brod risulta un po’ fuorviante: Kafka ammirava non solo le persone “elette”, ma chiunque si applicasse in modo produttivo, con concentrazione e presenza di spirito, a un lavoro definito in piena autonomia, senza lasciarsi distrarre da turbamenti interiori o esterni.

Uno scrittore che appena alzato, e ancor prima di indossare le brache, cominci già a dettare qualcosa, esercitava dunque su Kafka una particolare attrazione, soprattutto se egli faceva il confronto con le mattinate trascorse in ufficio e con la sua fragile, instabile vena creativa, che spesso lo abbandonava per mesi interi.

Da Stach, Reiner, Questo è Kafka?: 99 reperti, Adelphi.

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