Campionato chiuso, anzi no. Al minuto 61’ la Juventus si trovava in vantaggio di 2 gol sul Milan e di 10 punti sulla Lazio, forse già pregustando la festa per il nono scudetto consecutivo. Che resta più che probabile, ci mancherebbe, a patto che quello che è accaduto a San Siro nei 29’ successivi non si ripeta più. Perché incassare quattro reti in mezz’ora non è cosa da Juve, eppure è successo: merito di un grande Milan, capace di giocare un gran calcio proprio come contro la Lazio, ma anche colpa della squadra di Sarri, incappata in un vero e proprio blackout tecnico-tattico, improvviso e devastante come una bomba d’acqua estiva.
Lo sliding doors è arrivato al 62’ quando il Var ha scovato un tocco col gomito di Bonucci in area di rigore: la successiva trasformazione di Ibrahimovic ha letteralmente ribaltato la partita, sin lì in totale controllo della Juve. I bianconeri, dopo un primo tempo equilibrato, avevano aggredito il secondo trovando un uno-due da ko (47’ Rabiot dopo una splendida azione personale, 53’ Ronaldo su pasticcio della coppia centrale Romagnoli-Kjaer) per quasi tutti, non per l’ottimo Milan di questo periodo. Che dopo il rigore sopraccitato si è scatenato, trovando il 2-2 con Kessié (66’), il 3-2 con Leao (67’) e il definitivo 4-2 con Rebic (80’). Una valanga di gol a cui la Juve non ha saputo opporsi, finendone anzi travolta: che si tratti di una sconfitta indolore è possibile, anche perché chi sta dietro continua a fare passi falsi, ma certo non può fare piacere ad Andrea Agnelli e a tutto il popolo juventino.
“Avevamo fatto sessanta minuti di livello mondiale – ha sospirato Sarri – Eravamo in pieno controllo del match, poi c’è stato un blackout al quale non dobbiamo nemmeno pensare troppo, perché tra pochi giorni avremo un’altra partita. Bisogna uscire da questa partita prendendo il meglio che c’è stato, dimenticandoci il resto, perché non è il caso di farci troppi processi. Tanto poi le vere motivazioni di questi crolli sono introvabili…”.
Dall’altra parte c’è ovviamente un Pioli sugli scudi, protagonista di un paradosso senza precedenti: battere la Juve, per giunta in rimonta, nel giorno in cui il nome di Rangnick era su tutti i giornali, italiani e non. La scelta, a dire il vero presa da tempo, non è tanto una punizione per lui quanto per Maldini, il vero “silurato” dall’arrivo del tedesco, ma è chiaro che i risultati dell’ultimo periodo (e il discorso, tutto sommato, potrebbe allargarsi all’intero girone di ritorno) la rendono quantomeno contestabile. In molti, infatti, si chiedono che senso abbia mandar via un allenatore che sta diventando “certezza” per prendere una “scommessa”: a Gazidis l’ardua risposta, intanto però il Milan corre, s’insedia al quinto posto e punta già la trasferta di Napoli per un altro scalpo eccellente.
“Non sto pensando a quello che succederà a fine stagione, stiamo lavorando bene, siamo diventati squadra: la nostra testa è solo sul Napoli – ha glissato il tecnico rossonero – Non mi interessa a quello che accadrà dopo il 3 agosto, resto concentrato sul mio lavoro e non sono preoccupato per il mio futuro. Sono orgoglioso di quello che stiamo facendo e penso che sarebbe giusto toglierci ancora qualche soddisfazione”.
La notte di San Siro fa godere il Milan ma di certo non toglie il sonno alla Juve. Merito, o colpa a seconda dei punti di vista, della Lazio, battuta anche dal Lecce e rimasta così a meno sette in classifica. Un crollo verticale quello dei biancocelesti, certificato dal 2-1 del Via del Mare, al cospetto di un Lecce quasi disperato eppure sempre sul pezzo.
E dire che la partita si era messa benissimo per Inzaghi, con il Var ad annullare il gol di Mancosu per fallo di mano (2’) e Caicedo, complice una “frittata” di Gabriel, a trovare l’1-0 subito dopo (5’). Eppure, nonostante la doppia mazzata psicologica, il Lecce s’impadroniva del match, costringendo la Lazio a limitarsi al solo contropiede. Al 30’ Babacar trovava il pareggio su assist di Falco, ma quando Mancosu, fino a ieri infallibile, calciava alle stelle il rigore del possibile 2-1 (45’+5’), l’inerzia sembrava tornare biancoceleste. Nulla di più sbagliato, perché in apertura di secondo tempo Lucioni insaccava di testa sugli sviluppi di un corner (47’), portando il Lecce in vantaggio.
Sarebbe servita l’ottava rimonta stagionale ma la Lazio, questa Lazio, non è più la macchina perfetta di qualche mese fa: la partita di Immobile, sempre fuori giri, ne è l’esempio più eclatante. Al fischio finale di Maresca, complice una grande parata di Gabriel su Milinkovic in pieno recupero, era il Lecce a fare festa, mentre i biancocelesti dovevano fare i conti con la seconda sconfitta consecutiva (oltre che con la folle espulsione di Patric, reo di aver morso Donati in stile Suarez), la terza nelle ultime cinque di campionato: e pensare che prima del lockdown, in 26 giornate, erano state soltanto due…
“Dopo la sosta siamo tornati con tanti problemi, assenze, alcuni giocatori in altre circostanze non sarebbero stati convocati e invece hanno giocato: c’è una spiegazione se abbiamo perso tre volte in 15 giorni – il commento amaro di Inzaghi – Ora pensiamo solo al nostro primo obiettivo, qualificarci in Champions League”.
Oggi invece toccherà alle contendenti per la zona Champions, ammesso che si possa ancora considerare aperta. Il maxi-vantaggio dell’Atalanta su Roma e Napoli (15 punti!) rende infatti relativamente importante il discorso classifica, comunque vadano i match odierni. Più che Atalanta-Sampdoria (ore 21.45) e Genoa-Napoli (19.30), sarà soprattutto la Roma di Fonseca ad avere gli occhi addosso: la gara col Parma (21.45) non si può proprio sbagliare, altrimenti Pallotta, già contestatissimo da quasi tutto l’ambiente giallorosso, potrebbe optare per decisioni drastiche. In molti infatti ritengono il portoghese inadeguato a gestire la situazione e visto che, nel mese di agosto, ci sarà un’Europa League da giocare, ecco l’idea di sostituirlo, anche solo per dare una scossa al torpore generale.
“Qui ogni sconfitta viene vissuta come un qualcosa di molto pesante, è un problema di mentalità – ha ribattuto il diretto interessato. – Bisogna cambiare questo modo di ragionare e fare in modo che non influenzi il futuro. Le voci su altri allenatori al mio posto? Non mi danno assolutamente fastidio…”. Sarà, intanto però c’è una partita col Parma da vincere a tutti i costi, pena ritrovarsi in un vortice di polemiche addirittura superiore a quello attuale.
Fonseca confermerà il 3-5-2 inaugurato a Napoli con Pau Lopez in porta, Mancini, Cristante e Ibanez in difesa, Spinazzola, Pellegrini, Veretout, Mkhitaryan e Kolarov a centrocampo, Carles Perez e Dzeko in attacco. Classico 4-3-3 invece per D’Aversa, che risponderà con Sepe tra i pali, Darmian, Iacoponi, Bruno Alves e Gagliolo nel reparto arretrato, Hernani, Scozzarella e Kurtic in mediana, Kulusevski, Caprari e Gervinho nel tridente offensivo.