È appena arrivato nelle librerie online e nelle librerie delle città un bel libro fotografico pubblicato da goWare in formato cartaceo e digitale. È il libro che illustra la carriera e la vita di un mito del calcio: José Altafini.
Di suo pugno, con la ironia, la verve e il candore che lo contraddistinguono, Altafini commenta ciascuno scatto del libro ricollegandolo al suo percorso nel mondo del calcio e dello spettacolo. Un libro veramente unico e anche un invito a immergersi in un quarto di secolo di calcio giocato e in un altro trentennio di calcio chiacchierato.
Impressionante anche il Palmarès di Altafini come calciatore. Ha vinto un campionato mondiale con il Brasile nel 1958, 2 scudetti con il Milan (1958-59 e 1960-61) e due con la Juventus (1972-73 e 1974-75), una coppa dei campioni con il Milan (1960-61); di questo torneo è stato anche capocannoniere con 14 gol. Pure la Serie A l’ha visto in questa veste nella stagione 1961-62, con 22 gol.
Nel 2019 è stato insignito del Golden Foot. I vincitori di questo premio lasciano l’impronta dei propri piedi sulla Champions Promenade, una sorta di Walk of Fame hollywoodiana, sul lungomare del Principato di Monaco.
Siamo lieti di offrire ai nostri lettori la introduzione al libro del giornalista di origini brasiliane David Pastorino e due momenti significativi della vita di Altafini raccontati da lui stesso.
Buon divertimento!
. . .
Il mio amico José, campione di calcio sincerità e allegria di Darwin Pastorino
José Altafini è uno dei migliori amici. Vive ad Alessandria, si occupa di campi sintetici, coltiva la nostalgia senza eccessivi rimpianti, segue il calcio con la consueta competenza e ironia. Il campione di Piracicaba è stato il mio primo beniamino nel football. Ero bambino a San Paolo del Brasile, quartiere Cambuci, e mio padre mi portava a vedere le partite del Palmeiras, che un tempo si chiamava Palestra Italia, ed era la società degli italiani, tra nostalgia e futuro. Il centravanti della mia squadra era un fenomeno, un tipo dal gol facile e dal sorriso simile a un lampo di sole, lo chiamavano “Mazzola” perché assomigliava in modo straordinario a capitan Valentino, anima e classe del Grande Torino: José Altafini.
Nel 1958 conquistò il mondiale in Svezia, con Seleçao di Garrincha e Pelé, di Gilmar e Nilton Santos, realizzando una doppietta all’Austria. Nel mio amato club, maglia verde con una P bianca sul petto, faceva il fenomeno. Lui, ricordando quei giorni, mi dice: “Quando entravo in campo mandavo sempre un saluto a te e al tuo papà. Perché non ricambiavate mai?”. E scoppia nella sua solita, accattivante risata. Impossibile non volergli bene. Lui, che ha vinto tutto e che non ha mai commesso un peccato di arroganza o di presunzione. Il Milan, il Napoli, la Juventus, la carriera terminata in Svizzera e poi quel continuare a giocare, per divertimento, fino a tarda età, nei circoli privati o in campi di periferia, dando l’esempio ai giovani e dimostrando che la classe è qualcosa di innato, che possiedi nelle vene e nel cuore. È stato un goleador dotato di fantasia, capace di compiere qualsiasi prodezza, in acrobazia, di testa, in velocità, in dribbling: tutto gli riusciva semplice, naturale.
E che piacere ascoltarlo in televisione, il suo modo di commentare le partite è stato “rivoluzionario”: ha portato il paradosso, la simpatia, l’originalità.
Cominciò a Telemontecarlo nel 1981, al fianco del bravissimo telecronista Luigi Colombo. Fece scuola con i suoi “golasso”, “incredibile, amici!” (che poi suonava “amisci”), le sue iperboli, il suo manuale del football immaginario, dove ogni prodezza sul prato verde possedeva una pagina di riferimento.
Ho avuto la fortuna di averlo al mio fianco quand’ero direttore di Tele+ e di Quartarete Tv: divertimento e professionalità garantiti. A Torino, nei primi tempi, si sentiva smarrito: “Qui, per consolarsi, uno deve raccontarsi le barzellette da solo”. Per poi amare, profondamente, la città gozzaniana dalle “dritte vie corrusche di rotaie”. E nel capoluogo torinese la nostra amicizia è diventata sempre più vera, sempre più forte. Abbiamo condiviso giorni e notti, recuperando, soprattutto, la saudade per il nostro Brasile. E la sua commozione per Garrincha, l’angelo dalle gambe storte, l’ala destra che sapeva interpretare il canto dei passerotti: “Se ne è andato in solitudine dopo aver donato al popolo il calcio più bello”.
Si sentiva, a tutti gli effetti, un oriundo (ha vestito anche la maglietta azzurra): il sangue italiano e l’orgoglio di essere nato nella terra del variegato carnevale e della straripante bellezza. Venne al battesimo di mio figlio Santiago (con l’adorata moglie Annamaria) e, insieme, abbiamo girato mezza Italia presentando i miei libri o semplicemente per parlare dei segreti e della magia del pallone.
In ogni occasione, lo accoglievano come un idolo. La gente lo riconosceva, lo abbracciava, gli chiedeva di quella volta con Rivera, delle stagioni napoletane, di Omar Sivori, di quando segnava nella Juventus entrando nel secondo tempo. Lui accontentava tutti, rispolverando i suoi strepitosi aneddoti. Quelle sue storie che sono una via di mezzo tra un racconto di Osvaldo Soriano e una narrazione da realismo magico di Gabriel García Márquez.
Divertiva e si divertiva, non aveva mai fretta, gli piaceva stare con la gente e tra la gente. E continua a sentirsi un fanciullino ancora oggi: un asso senza tempo e senza età. Soprattutto non si fa mai prendere dalla malinconia: “Un sorriso, uno solo, ti salva la giornata”.
Infinito, meraviglioso José. Conserverò sempre con cura la maglia che mi ha regalato, al Circolo della Stampa Sporting: la “numero 18”, la scritta “Mazzola”, quella del Mundial ’58, il primo della Seleção.
È un dono prezioso questo libro di Altafini: ci sono le fotografie a illustrare la sua carriera e la sua vita, c’è tutta la sua volontà di fare, sempre e comunque, festa.
Darwin Pastorin
. . .
Presidente Lula e Presidente Napolitano
In questa foto mi trovavo al Quirinale nel 2008. Ho avuto il privilegio di es- sere stato l’unico giocatore invitato a quell’incontro internazionale tra il Presi- dente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano e quello del Brasile, Lula.
Ricordo un dialogo simpatico tra i due: “Presidente Lula, cortesemente potrebbe riportare con sé in patria questo signore brasiliano (si riferiva a me) che da tanti anni è in Italia e ancora non parla bene la nostra lingua?”.
La risposta fu: “Presidente Napolitano, se lei fa rientrare i 30 milioni di italiani che sono in Brasile, in cambio potrei riportare con me il Sig. Altafini.” Risata generale.
. . .
Il sogno del calcio nel mondo
Da bambino, la sera quando andavo a letto mi piaceva fantasticare pensando di diventare un calciatore, come poi è avvenuto.
Non avrei mai pensato di incontrare tanti personaggi famosi, dello sport, dello spettacolo e anche della politica. Chissà quanti bambini sognano la stessa cosa che è successa a me!
In occasione di una visita alla FIFA, avvenuta alcuni anni fa, il Presidente In- fantino mi disse che nel mondo, tra quelli che praticano e che vivono dentro questo sport, c’è la bellezza di 270 milioni circa di persone coinvolte: è una cosa strabiliante! Io ero, e sono, uno di questi.