100 anni fa, l’8 dicembre 1919, usciva Le Conseguenze economiche della pace di John Maynard Keynes, l’intellettuale più influente del XX secolo. Il libro, dell’allora oscuro funzionario del tesoro di Sua Maestà britannica, occupa senza dubbio i primi posti di una improbabile classica dei libri più importanti dell’ultimo secolo. Keynes con questo scritto ha fatto anche qualcosa che si è visto ripetere difficilmente nella storia successiva: un economista professionista ha azzeccato totalmente una previsione.
Stupisce la lungimiranza dello sguardo di Keynes. Ma, il poco più che trentenne economista non era un rabdomante, anche se l’occulto lo intrigava. Aveva delle basi intellettuali caste, una capacità di interpretazione rara ed un’esperienza solida per guardare nel cannocchiale della storia e scorgere i tratti nitidi del futuro. Che non erano per niente belli!
Keynes era coinvolto direttamente nella gestione dell’economia di guerra, aveva interessi vastissimi anche in campo umanistico, frequentava il grande think-tank letterario estetico e sociale, che era il gruppo di Bloomsbury. Aveva un carattere riservato, ma risoluto. Non aveva paura di perdere il posto. Non gli mancava neppure quel tanto di autostima e ambizione che serve per quella che oggi si chiama “visibilità.
La mondialità dello scacchiere europeo
Proprio la mondialità di primo conflitto mondiale richiedeva di pensare in termini diverso dal passato, fuori dagli schemi nazionali e nazionalistici propri dell’Ottocento e dell’era dell’imperialismo. Forse era veramente l’unico a farlo su basi fondate, cioè economiche. Il mondialismo wilsoniano era privo di fondamenta, seppur nutrito da principi corretti, ancor oggi lontani dall’essere agiti su scala internazionale.
La notorietà e il prestigio che Keynes guadagnò con Le Conseguenze economiche, seppur privi di effetti pratici sul momento, sarebbe tornato, con la forza di un tornado, dopo il 1929 e nella definizione dell’ordine internazionale dopo il secondo conflitto, che lui aveva senz’altro visto nella sua sfera. Ne Le conseguenze l’Europa non viene vista come un insieme di nazioni sovrane, ma come un unico ed inscindibile blocco economico come se un unico tendone da Lisbona a Mosca la coprisse tutta e ne determinasse la temperatura.
Nel contributo che segue, Jonathan Kirshner, studioso eclettico e perspicace, ricostruisce succintamente la genesi del libro e il dramma, anche personale, del giovane economista nel vedere formarsi la catastrofe del trattato di pace di Versailles.
Buona lettura!
Accadde nel 1919
L’8 dicembre 1919, l’editore Macmillan Press pubblicò un libro di un funzionario del tesoro britannico, relativamente sconosciuto, che si era dimesso dal governo per protestare contro il trattato di Versailles. Il trattato aveva messo un disastroso sigillo sul trauma epocale della prima guerra mondiale.
Nel libro, scritto come l’energia di un pamphlettista, il funzionato cercava di spiegare “i motivi della sua contrarietà al trattato, o meglio, all’intera politica dei vincitori nei confronti dei problemi economici dell’Europa”.
Inizialmente Macmillan tirò 5.000 copie. Sembravano più che sufficienti per l’opera di un tecnocrate dissidente. Il libro conteneva dei brani piuttosto difficili su aspetti arcani come come la produzione di carbone in Germania e i mercati di esportazione.
La fortuna di Keynes
Il libro Le conseguenze economiche della pace divenne, però, un fenomeno editoriale. Fu ristampato sei volte, tradotto in una dozzina di lingue e, alla fine, vendette più di 100.000 copie, arrecando una fama mondiale al suo autore. L’autore era il trentaseienne John Maynard Keynes.
Studioso brillante e instancabile, intellettuale pubblico, giornalista, consulente del governo e campione delle arti, Keynes sarebbe stato al centro del dibattito pubblico per l’intero corso della sua vita.
Le teorie keynesiane riscrissero la politica economica negli anni ’30, e continuano a inseminare le politiche economiche di oggi. Keynes, sempre in rappresentanza del Tesoro britannico, fu il principale architetto intellettuale dell’ordine internazionale del secondo dopoguerra. Ma iniziò la sua carriera in aperta polemica con l’ordine internazionale instaurato alla fine della prima guerra mondiale.
Keynes scrittore
Le conseguenze economiche della pace è scritto in modo magistrale. Keynes era parte del milieu artistico e letterario del gruppo di Bloomsbury. Le sue taglienti e candide descrizioni dei “pacificatori” (Georges Clemenceau, David Lloyd George e Woodrow Wilson) risentivano dell’influenza letteraria degli eminenti intellettuali “vittoriani” che erano stati profilati da un geniale scrittore del gruppo di Bloomsbury, Lytton Strachey.
Le tesi del libro suscitarono subito delle accese discussioni particolarmente intorno alla valutazione sulla capacità della Germania di pagare i risarcimenti richiesti dalle potenze vittoriose.
Il libro di Keynes era sostanzialmente nel giusto per quanto riguarda i suoi principali argomenti. Ma fu, e rimane ancora oggi, largamente frainteso. Il contributo più duraturo del libro non è tanto nella sua critica alle clausole del trattato. È nella parte relativa ai problemi economici dell’Europa del tempo. Keynes lanciò un allarme inascoltato sulla fragilità dell’ordine europeo uscito da Versailles.
Il punto di Keynes
Keynes pensava che, sebbene molti europei vedessero il sorgere una nuova era nell’economia del continente, le basi di quest’ultima poggiavano su fondamenta superate, instabili e incomprese.
“Alcuni elementi di instabilità, già presenti quando scoppiò la guerra — scriveva– erano stati cancellati da anni di guerra totale — ma poi non sostituiti da qualcosa di più solido e duraturo”.
Ricostituire l’ordine economico generale, senza infliggere una punizione miope agli sconfitti, era la cosa giusta da fare. La miopia dei vincitori, invece, aveva portato non solo al fallimento della “pace” e non solo al trattato di Versailles. Aveva portato anche e soprattutto alla propagazione dell’instabilità nell’intero scenario politico ed economico europeo.
Gli economisti e gli storici, allora e da allora in poi, si sono concentrati sulla questione se Keynes avesse sottovalutato la capacità della Germania di pagare i risarcimenti di guerra. Così non hanno colto il punto più importante. Keynes avrebbe potuto sicuramente sbagliarsi sui risarcimenti. Ma i suoi argomenti sulla crisi che l’Europa stava affrontando e sul fallimento del trattato, erano sacrosanti.
Lo smarrimento del quadro economico e politico europeo
Keynes era convinto che la guerra aveva “scosso al tal punto il sistema da mettere in pericolo la vita dell’Europa”. Il trattato scriveva Keynes
“Non prevedeva alcuna misura per il risanamento economico del continente. Nulla per creare delle relazioni costruttive con gli imperi centrali sconfitti, nulla per stabilizzare i nuovi stati europei, nulla per risanare le finanze caotiche di Francia e Italia”. Costringere la Germania in uno stato di servitù significava gettare il seme “del decadimento di tutta la vita civile in Europa”.
Keynes era in una posizione ottimale per cogliere la gravità di quel pericoloso pasticcio macroeconomico che la guerra aveva provocato. Al Tesoro, durante la guerra, aveva il compito di amministrare la finanza britannica per sostenere lo sforzo bellico. Alla Conferenza di pace di Parigi era il rappresentante ufficiale del Tesoro. Inoltre, Austen Chamberlain, cancelliere dello Scacchiere di rimanere in Gran Bretagna, lo aveva chiamato a rappresentare il Consiglio Economico Supremo.
L’esperienza a Parigi
Arrivato a Parigi il 10 gennaio 1919, fu rapidamente risucchiato nel vortice delle trattative. Spedito a incontrare i “nemici” tedeschi, il giovane Keynes negoziò i termini di una fornitura alimentare straordinaria alla Germania, allora sull’orlo della carestia.
Keynes descriverà successivamente questi eventi in uno dei suoi migliori saggi. Melchior, un nemico sconfitto. Lesse Melchior durante due incontri privati, al Memoir Club di Cambridge e con il gruppo di Bloomsbury. Virginia Woolf fu impressionata dal secondo incontro a tal punto da scrivere una nota affettuosa che tesseva le lodi letterarie di Keynes. Melchior fu una delle due opere (Le mie prime convinzioni era l’altra) che Keynes chiese di pubblicare postume.
La descrizione della scena che lo vide protagonista a Parigi ha un ritmo cinematografico. Scrive:
“Furono presto richiamati nel salottino del vagone, stava arrivando la delegazione economica tedesca. La carrozza ferroviaria era piccola, ed eravamo in molti. Come ci si doveva comportare? Dovevamo stringerci la mano? Ci siamo rannicchiati a un’estremità dell’angusto spazio con un piccolo tavolino che ci separava dal nemico. Loro erano schiacciati alla parete opposta. Si inchinarono rigidamente di fronte a noi. Noi facemmo lo stesso, benché alcuni di noi non avessero mai fatto un inchino al nemico prima di allora. Facemmo un movimento nervoso con il braccio come per stringere la mano, ma non la stretta non ci fu. Gli chiesi, con un tono che voleva essere amichevole, se parlavano inglese”.
Con un’azione ispirata, Keynes riuscì a portare a buon fine quella piccola trattativa preliminare. Il più ampio processo di pace, tuttavia, fu una catastrofe. Keynes vi assistette in un posto in prima fila.
La reazione tedesca
Come ha scritto lo storico Eric Weitz, la delegazione tedesca reagì “con stupefatta incredulità” ai termini loro presentati. Quando questi divennero pubblici in patria, la reazione fu di shock e di rabbia. Le due parti si erano dissanguate a vicenda durante la guerra, combattendo da pari fino al momento dell’entrata dei lontani Stati Uniti. Un ingresso che aveva ribaltato decisamente l’equilibrio delle forze in campo.
La Germania, senza truppe straniere sul proprio territorio, immaginava di trattare, seppur da perdente, una pace negoziata, non di sottomettersi a un accordo che equivaleva a una resa incondizionata. Che significava: spoglio delle colonie, perdita di territorio, annichilimento della marina, smembramento dell’esercito, imposizione di riparazioni.
Keynes, come avrebbe scritto ne Le conseguenze economiche, e ripetutamente dopo la pubblicazione del libro, si preoccupava non tanto “dell’equità del trattato”, ma della sua “saggezza e delle sue conseguenze”. Dietro le quinte, aveva lottato per un approccio più lungimirante.
Il progetto di Keynes
Per un fuggevole momento, nell’aprile del 1919, Keynes confidò nell’accoglimento del suo “grande progetto”. Risarcimenti modesti (con la quota della Gran Bretagna ceduta ad altre vittime dell’aggressione tedesca). Cancellazione di tutti i debiti di guerra interalleati (l’America ne avrebbe sopportato il peso). Istituzione di una zona di libero scambio europea (per evitare il probabile caos nel commercio internazionale dal confuso mosaico di nuove nazioni emergenti in Europa orientale). Un nuovo prestito internazionale per sostenere il continente immerso nella di crisi economica.
Un progetto che rasentava l’ingenuità politica. Gli americani non si sarebbero separati tanto facilmente dai loro soldi, né i francesi dalla loro revanchismo. Nelle elezioni del 1918, i politici britannici avevano apertamente (seppur fatuamente) promesso di ritenere la Germania responsabile di tutti i costi della guerra. Avevano detto agli elettori di voler spremere i tedeschi come un limone “finché i semi non scricchiolano”.
La posta in gioco
Ma per Keynes la posta in gioco era così alta da richiedere un impegno fuori dall’ordinario. Gli storici si sono concentrati sulla sua proposta di alleggerire le riparazioni, ma egli era più focalizzato sulla questione dei debiti interalleati.
Quegli obblighi, scrisse in un rapporto interno del Tesoro, erano “una minaccia per la stabilità finanziaria di tutti i paesi”. Lo erano perché imponevano un “onere soverchiante”, e sarebbero stati “una fonte costante di instabilità internazionale”.
Un ordine finanziario internazionale basato su un viluppo di debiti e di risarcimenti non poteva “durare un giorno”.
La reazione finale di Keynes
Il 14 maggio 1919, Keynes inviò una nota angosciosa alla madre, dicendole di voler dare le dimissioni. Riuscì a resistere, “così afflitto per quello che succede”, per altre tre settimane. Il 5 giugno presentò la sua lettera formale di dimissioni al primo ministro Lloyd George. Chiusosi in casa per lenire la sua pena, iniziò la stesura de Le conseguenze economiche, che scrisse in pochi mesi.
Agli americani
Keynes condusse una campagna intellettuale per promuovere le idee del suo libro, che, nonostante il suo rapido successo, influenzò poco le politiche estere delle potenze interessate. Per primo si rivolse al pubblico americano, In un articolo sul “Everybody’s Monthly” richiamò l’argomento che già compariva sulla prima pagina del libro: “La Germania ha una responsabilità speciale e specifica per la guerra” e “per il suo carattere universale e devastante”.
Ma il trattato “lascia l’Europa più instabile di quanto non l’abbia trovata”. L’interesse, non la vendetta, deve guidare la politica. “Sarà un disastro per il mondo se l’America si isolerà”, scriveva esplicitamente.
Ai francesi
Nella prefazione all’edizione francese del libro si domandava retoricamente: “La Francia è al sicuro perché le sue sentinelle sono sul Reno?”. E asseriva:
“Lo spargimento di sangue, la miseria e il fanatismo prevarranno, estendendosi dal Reno ad est attraverso due continenti”.
In pochi lo ascoltarono. Il breve flirt degli americani con l’internazionalismo wilsoniano sfociò in una rinascita del nazionalismo e del nativismo. Privilegiando le preoccupazioni interne rispetto a quelle globali, gli Stati Uniti, ostinati e miopi, aggiunsero alle difficoltà economiche dell’Europa una posizione inflessibile sulla questione dei debiti di guerra.
Il seme avvelenato di Versailles
La Francia cercò di far rispettare il trattato così com’era stato scritto. Arrivò ad occupare la regione della Ruhr nel gennaio 1923, in risposta al mancato rispetto degli obblighi di risarcimento da parte della Germania. L’occupazione, che durò due anni e mezzo, si accompagnò alla resistenza passiva e all’iperinflazione. Tutto sembrava dimostrare la validità delle tesi di Keynes.
L’equilibrio degli anni ’20 era zoppo, con qualche piccolo progresso nella cooperazione che fece ben poco per superare i grandi problemi che Keynes aveva individuato fin dall’inizio. La fragilità finanziaria e le ansie politiche ribollivano appena sotto la superficie. Una spallata avrebbe fatto crollare tutto.
La crisi finanziaria globale del 1931 fece proprio questo, cioè crollare tutto. Fu aggravata dalla ricerca di un vantaggio politico da parte della Francia mentre le banche di Austria e Germania vacillavano pericolosamente.
Come osservò Keynes all’epoca:
“La sconvolgente crisi tedesca del 1931, che colse il mondo più di sorpresa di quanto avrebbe dovuto, fu in sostanza una crisi bancaria, sebbene aggravata, senza dubbio, dagli eventi politici”.
Gli uomini non muoiono in silenzio
Le politiche dei vincitori della guerra fecero sì che la crisi non fosse arginata. Essa finì fuori controllo. Così l’economia mondiale precipitò nelle profondità della Grande Depressione. Contribuì direttamente all’ascesa del fascismo in Germania e in Giappone.
Gli uomini non sempre muoiono in silenzio — scrisse Keynes in Le conseguenze economiche della pace — e nella loro angoscia possono rovesciare quel che resta dell’ordine sociale e sommergere l’intera civiltà.
Una generazione dopo, il diplomatico americano George F. Kennan avrebbe detto che gli errori della politica estera degli anni Trenta potevano essere concepiti come le “opportunità perdute” degli anni Venti. Keynes sarebbe stato sicuramente d’accordo.
Jonathan Kirshner è professore of scienze politiche e studi internazionali al Boston College. È autore del libro American Power After the Financial Crisis, Cornell University Press, 2014.
L’articolo di Kirshner è stato pubblicato sul “New York Times” del 7 settembre 2019, con il titolo The Man Who Predicted Nazi Germany.