Uno dei capitoli più importati e senza dubbio più discussi del Jobs Act riguarda l’applicazione delle nuove regole dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, attualmente valide per i lavoratori privati, ai dipedenti pubblici. Secondo i calcoli della Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro, nel caso in cui le nuove regole stabilite dalla riforma del lavoro approvata dal Governo Renzi venissero estese anche ai lavoratori statali, i risparmi sarebbero molto consistenti.
Analizzando i flussi dell’anno 2014 in base alle comunicazioni obbligatorie diffuse dal ministero del Lavoro si scoprre che nel settore privato in soli dodici mesi vengono interrotti più di 10 milioni di rapporti di lavoro tra subordinati e collaborazioni coordinate e continuative. La maggior parte delle interruzioni riguarda i lavoratori a tempo determinato che concludono la loro attività a causa della naturale scadenza dei termini contrattuali.
Per quanto concerne i licenziamenti invece, nel 2014 sono stati circa 1 milione. Di essi, 828mila derivanti da un licenziamento economico, mentre 89mila per motivi disciplinari (giusta causa o giustificato motivo soggettivo), una cifra che rappresenta l’8% del totale.
In base ai calcoli della Fondazione Studi del Consiglio Nazioanle dei Consulenti del lavoro, applicando sulla carta le stesse percentuali anche ai 3 milioni e 233mila lavoratori del pubblico impiego, senza le tutele garantite dal “vecchio” articolo 18, i dipendenti della Pa potenzialmente licenziabili per cause disciplinari ammontenerebbero a 21.661.
Considerando che ogni lavoratore statale costa mediamente 48.936 euro l’anno, estendendo l’articolo 18 al settore pubblico si risparmierebbe potenzialmente più di un miliardo di euro l’anno.