Quando nel maggio dello scorso anno fu firmato a Palazzo Chigi l’accordo sulla Electrolux con il ritiro di 1200 licenziamenti ed il ricorso ai contratti di solidarietà, fermamente voluti da Matteo Renzi, fu abbastanza chiaro che la riforma degli ammortizzatori sociali si sarebbe basata sul depotenziamento della cassa integrazione, limitandone le causali e la durata, valorizzando per contro il “contratto di solidarietà”, un istituto peraltro poco utilizzato sino ad ora dalle aziende, vuoi per una certa rigidità gestionale vuoi per la disponibilità di strumenti più flessibili come la cassa integrazione nelle sue diverse declinazioni (ordinaria, straordinaria, in deroga) o la mobilità (volontaria o collegata al pensionamento).
Il contratto di solidarietà, introdotto dalla legge n. 863/1984, è un contratto aziendale che realizza forme di solidarietà tra i lavoratori, tramite riduzioni d’ orario parzialmente o totalmente a loro carico, secondo lo slogan sindacale dell’ epoca “lavorare meno, lavorare tutti”. La legge prevede due tipi di contratti stipulabili tra l’ azienda e i sindacati dei lavoratori aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative:
– quello “difensivo”, che stabilisce una temporanea riduzione dell’ orario di lavoro al fine di evitare in tutto o in parte la riduzione o la dichiarazione di eccedenza di personale anche attraverso un suo più razionale impiego. La retribuzione persa dai lavoratori, a seguito della riduzione di orario concordata, viene parzialmente compensata dall’ intervento della cassa integrazione guadagni straordinaria senza massimale, con piena copertura di contributi figurativi ai fini pensionistici;
– quello “ espansivo”, o strutturale, che è finalizzato ad incrementare gli organici con assunzioni a tempo indeterminato mediante una riduzione stabile dell’ orario di lavoro, con riduzione proporzionale e secca della retribuzione, e con concessione di agevolazioni contributive.
L’esperienza sino ad oggi ha rivelato una utilizzazione complessivamente limitata, ma diversificata delle due tipologie di contratti: contenuta, ma non priva di rilevanza come nel caso Electrolux, nel modello “difensivo”; pressoché nulla nel modello “offensivo”. Se ne può quindi dedurre una certa tenuta della solidarietà interna tra i lavoratori occupati, e una defaillance completa della solidarietà esterna tra lavoratori occupati e non (problema purtroppo che si sta registrando anche con la c.d. “staffetta generazionale” tra personale senior e junior nelle regioni dove viene attualmente sperimentata).
E non poteva che essere così, in particolare in questi anni di prolungata crisi, data la convenienza per i lavoratori e le aziende ad utilizzare in primis la cassa integrazione quasi senza limiti temporali, e soltanto una volta esaurite tutte le possibilità della sua fruizione ricorrere al contratto di solidarietà : come per i lavoratori del polo logistico di Nola della FCA, che, in cassa integrazione dal 2008, saranno ora posti, senza soluzione di continuità, in solidarietà per altri 24 mesi.
Nel nuovo scenario di razionalizzazione della cassa integrazione è comunque probabile che il contratto di solidarietà trovi una utilizzazione maggiore anche alla luce del decreto legislativo attuativo del Jobs Act in materia di riordino degli ammortizzatori sociali, ora all’ esame delle commissioni Lavoro di Camera e Senato per il parere non vincolante.
Con la riforma, la cassa integrazione ordinaria, quella straordinaria e i contratti di solidarietà sono considerati come un unicum da poter utilizzare in un arco temporale massimo di durata. In particolare la durata della cassa ordinaria e straordinaria viene fissata in 24 mesi per ciascuna unità produttiva da calcolare in un quinquennio mobile, contro gli attuali 36 mesi nel quinquennio fisso.
Quello del quinquennio mobile è un punto saliente della riforma per la riduzione temporale della cassa integrazione: con i quinquenni fissi che andavano da 5 anni in 5 anni (l’ultimo da agosto 2010 ad agosto 2015), se si ricorreva alla cassa negli ultimi 36 mesi di un quinquennio, si poteva prolungarla di altri 36 mesi nei primi tre anni del quinquennio successivo, raggiungendo in questo modo un periodo ininterrotto di 6 anni di cassa integrazione.
Anche il contratto di solidarietà ha una durata di 24 mesi ma può essere prolungato sino a 36 mesi anche continuativi, in quanto il periodo dei primi 24 mesi viene conteggiato, ai fini del raggiungimento del tetto dei 36 mesi, solo per metà: ad esempio, un periodo di 24 mesi varrà 12 mesi, un periodo di 20 mesi ne varrà 10 e così via; oltre i 24 mesi la durata dei contratti di solidarietà sarà computata per intero.
Il decreto attuativo fissa inoltre al 60 per cento il limite massimo di riduzione media dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati al contratto di solidarietà, mentre per ciascun lavoratore la percentuale di riduzione complessiva dell’ orario di lavoro non può essere superiore al 70 per cento nell’ arco dell’ intero periodo per il quale il contratto è stipulato.
Con tale strumento, dunque, le esigenze di ridimensionamento del personale sono soddisfatte non attraverso licenziamenti collettivi o sospensioni a zero ore di un corrispondente numero di lavoratori, ma coinvolgendo in una riduzione di orario un numero più ampio di lavoratori (da qui il termine “solidarietà”), in modo da realizzare una riduzione complessiva delle ore lavorative equivalente a quelle che sarebbero state prestate dal personale eccedente.
Il pregio del Contratto di Solidarietà, che tende a minimizzare l’impatto sociale dell’ intervento aziendale sul personale, riducendo il sacrificio economico e distribuendolo su una platea più vasta di lavoratori, ne costituisce però al tempo stesso il suo limite intrinseco in termini di utilizzabilità per le aziende. Lo strumento, infatti, non è concretamente applicabile in tutte le situazioni di eccedenze di personale, specialmente nei casi di esuberi connotati da elementi di forte disomogeneità (personale diretto/indiretto, etc.) o in presenza di mansioni non fungibili.