Condividi

Jane Goodall: gli animali sono parte di noi e noi di loro

Jane Goodall: gli animali sono parte di noi e noi di loro

La mancanza di rispetto per gli animali

Jane Goodall è l’etologa e primatologa che vanta una meritata fama mondiale per il suo instancabile lavoro di scienziata e attivista dei diritti degli animali. Le sue ricerche pionieristiche in Tanzania hanno mostrato alla comunità scientifica e al mondo intero la vera natura degli scimpanzé.

Oggi si dice convinta che la pandemia è stata causata dal nostro agnosticismo per la natura e dall’assoluta mancanza di rispetto per gli animali che consideriamo parte della nostra catena alimentare o del nostro profitto.

Durante una videoconferenza, per il lancio del nuovo documentario del National Geographic Jane Goodall. The Hope, ha esortato il mondo a imparare dagli errori del passato per evitare futuri disastri che si preannunciano catastrofici. L’82enne ha detto che le azioni di ogni persona possono veramente fare la differenza tra il prima e il dopo la pandemia.

Ha detto testualmente

«È il nostro disprezzo per la natura e la nostra mancanza di rispetto per gli animali con cui dobbiamo condividere il pianeta che ha causato questa pandemia. Un evento che era preannunciato già molto tempo fa. Quando distruggiamo le foreste, le varie specie di animali di quegli habitat annichiliti sono spinte verso una prossimità quasi fisica con altre specie e quindi le malattie si trasmettono da un animale a un altro. Con ciò cresce la possibilità che gli esseri umani siano a loro volta infettati dalla loro prossimità con gli animali. È una catena letale».

Lontano dai suoi scimpanzé

In questi giorni Jane Goodall è in isolamento come tutti noi. Lo è da quando è stato cancellato un tour di raccolta fondi a causa della pandemia di coronavirus. Alloggia nella casa di famiglia in Inghilterra. Adesso non è in Tanzania, la sua residenza abituale quando non viaggia.

Goodall ha cambiato il modo in cui il mondo vede gli scimpanzé con una ricerca che ha avuto inizio 60 anni fa quando ha messo piede in Africa per la prima volta. Era una giovane donna senza laurea. Voleva osservare gli scimpanzé nel loro habitat, in quello che oggi è il Gombe Stream Research Centre in Tanzania.

Da allora è diventata un’instancabile combattente contro la cattività degli scimpanzé. Quando ha iniziato il suo lavoro, gli scimpanzé erano abitualmente utilizzati nella ricerca medica, una pratica che la Goodall, e altri animalisti, hanno contribuito a bandire negli Stati Uniti.

Oggi, il Jane Goodall Institute continua le ricerche che la sua fondatrice ha iniziato al Gombe Stream Research Centre. Porta avanti i programmi per sensibilizzare le comunità nella conservazione e nell’educazione alla diversità. Con l’impossibilità dei viaggi internazionali, l’istituto, che è presente in 30 Paesi, ha recentemente tenuto un incontro virtuale a livello globale. “Ha funzionato molto meglio di quanto pensassi — ha detto la Goodhall— Sono rimasta davvero impressionata.

James Gorman del “New York Times” ha intervistato la Goohall al telefono per oltre mezzora. Ecco il testo dell’intervista debitamente adattato.

Jane in Tanzania.

Il tempo perduto

James Gorman (The New York Times, NYT): Innanzitutto, Come stai?

Jane Goodall (JG) Beh, ho iniziato sentirmi frustrata di questo confinamento. E poi ho pensato, beh, ok, sentirsi frustrati non aiuta. Così ho iniziato a pensare a qualche modo per stare in pubblico senza essere presente, per così dire. E ho pensato ancora, beh, santo cielo!, ho un arretrato di e-mail di quattro anni. Posso iniziare da questo. E ho anche pile di roba vecchie di otto-nove anni, roba del giro di conferenze che ho accumulata senza avere avuto mail il tempo sistemarla prima di partire di nuovo. Quindi ho iniziato da questo lavoro. È una follia.

NYT: Questa pausa ti ha permesso di fare un passo indietro?

JG: Sto recuperando il terreno perduto, sai. Ma vedo una situazione che mi preoccupa molto. Negli Stati Uniti ci sono persone che non hanno il sussidio di disoccupazione o qualcosa di simile. E in Tanzania, per esempio? Le persone che gestiscono i bar, i ristoranti o la vendita di cibo sul ciglio della strada — tutto questo è più consentito. Con quelle attività guadagnano quel tanto che basta per sopravvivere una settimana e per pagare l’affitto. Là non c’è la previdenza sociale, non c’è niente, niente per loro fuori dal loro lavoro.

Gli scimpanzé nei laboratori

NYT: Essere in isolamento mi ha fatto pensare a come potrebbe essere la vita per gli scimpanzé isolati in cattività, che, come noi, dipendono dalla vicinanza fisica e dal contatto.

JG: Ci penso continuamente. Ci penso da quando ho visto i filmati di questi esseri sociali chiusi in gabbie di due metri per due nei laboratori di ricerca medica. È stato orribile la prima volta che sono entrata in uno di quei laboratori. L’isolamento, come dici, è già abbastanza penoso per noi, ma noi abbiamo tanti modi per distrarci. Che dire di questi animali che non hanno niente? Ma sai l’altra cosa, voglio cercare il lato positivo di questo periodo orribile. La pandemia ha riaperto la discussione sul traffico di animali, sulla vendita di animali selvatici per l’alimentazione o per la medicina. Tutti puntano il dito contro la Cina e il governo cinese ha già messo al bando il commercio di questi animali e l’importazione di animali selvatici. Quindi non ci resta che sperare che, data l’entità di questa pandemia, il governo cinese renda questo divieto permanente. Al momento è temporaneo, ma speriamo che resti per sempre così da chiudere il mercato degli animali utilizzati nella medicina cinese tradizionale.

L’insegnamento del mio cane: gli animali hanno una personalità

NYT: Ci sono delle conquiste particolari nel vostro lavoro che possono avere un impatto sul futuro?

JG: Sono stata l’ottava persona nella storia di Cambridge a entrare all’università senza una laurea. Ero davvero spaventata. Potete immaginare. E naturalmente non è stato di conforto quando i professori mi hanno detto che avevo sbagliato tutto. Non avrei dovuto dare un nome agli scimpanzé, ma solo un numero. E non dovevo parlare della personalità, della mente o delle emozioni, perché erano prerogativa solo delle persone. Ma per fortuna il mio cane da bambina mi aveva insegnato esattamente il contrario. Riuscivo a relazionarmi con gli scimpanzé in modo non aggressivo. Continuavo a parlargli con calma, sapete, in modo rilassato. E ricordo che il primo saggio scientifico che ho scritto per “Nature” riguardava l’uso degli strumenti da parte di questi animale, credo. E così ho descritto il comportamento degli scimpanzé, ho dato loro dei nomi e loro hanno lasciato i nomi. 
Ma quando ho ricevuto le bozze dell’articolo, ho visto che la redazione aveva apportato delle correzioni cancellando i pronomi “he/his” o “she/her”. Voglio dire, una cosa molto importante, per identificare il genere. Ma gli animali erano solo “it/its”. Così ho cancellato con rabbia gli “it/its” e ho rimesso he/she e loro l’hanno accettato. Quindi quella è stata la prima svolta. Proprio perché si è dimostrato che gli scimpanzé sono biologicamente uguali a noi e anche il loro comportamento, fatto vedere nei film e nelle fotografie di Hugo [van Lawick’s], era cos’ simile al nostro, che la scienza ha iniziato a pensare in modo meno riduzionista. 
Non siamo separati dal resto del regno animale, ne facciamo parte integrante. Gradualmente questo è diventato sempre più universalmente accettato. Ciò ha aiutato le persone a capire che gli animali hanno una personalità, una mente e delle emozioni, e ora finalmente si stanno studiano queste cose.
La mia posizione è che alla fine ci sarà un tempo senza sperimentazione animale. Ciò che mi ha dato più soddisfazione nel mio lavoro con gli scimpanzé non è stato l’approccio etico (quello che mi ha mosso inizialmente), quanto quello pratico, cioè il fatto che gli scimpanzé dei laboratori siano stati trasferiti in santuari perché non erano utili alla ricerca. Questo risultato è stato di gran lunga migliore di qualsiasi motivazione etica. È un po’ quello che succede con il combustibile fossile. La gente dice che ora dobbiamo smettere di usare il combustibile fossile. Beh, questo è chiaramente impossibile. Non si può fermare qualcosa di botto. E la ricerca medica sugli animali non si fermerà all’improvviso, anche se vorrei che succedesse. Il problema è che le persone che lavorano sulle possibili alternative non ricevono il giusto sostegno.

Ci vuole sense of humor

La questione animale diventerà la questione cruciale di questo secolo. L’uomo non può continuare a considerare e trattare gli animali come ha fatto finora. È matematico. Non può perché non è etico, distrugge il pianeta e danneggia la salute.

NYT: Torniamo alla situazione attuale. Come ti trovi adesso? 
JG: Sono nella casa di famiglia. Siamo venuti ad abitare qui durante la guerra. Era di mia nonna. Guardo fuori dalla finestra e vedo l’albero su cui mi arrampicavo da bambina e guardo tutti i libri che leggevo, i Dr. Doolittle, i Tarzan. Mi vedo con il mio cane, Rusty. C’è una immagine di lui di fronte a me, il cane che mi ha insegnato che gli animali hanno mente, personalità ed emozioni.

NYT: Qualche consiglio personale per aiutare le persone a sopportare l’isolamento?

JG: Il senso dell’umorismo. Ci sono tutte queste sciocchezze sulla carta igienica. Ci sono anche due video molto divertenti. In uno c’è un uomo seduto sul WC e un cane entra e gli ruba il rotolo della carta. E poi ce n’è un altro sempre di un uomo seduto su un WC. Arriva il cane e afferra un’estremità del rotolo e inizia a correre. Scende le scale e l’uomo guarda la carta che srotola in tutta la casa. Poi il cane la porta a un’altra persona sul WC.

Dobbiamo per forza mantenere il senso dell’umorismo.

Commenta