Il Covid 19 non è domato. A ricordarcelo, caso mai ve ne fosse il bisogno, è anche l’impennata dei contagi nella Contea di Teton, premiata meta turistica del Wyoming, a partire dalla valle di Jackson Hole. L’emergenza sanitaria ha prodotto due conseguenze: sono stati cancellati i corsi di yoga per i villeggianti del resort, che sorge ad un passo dall’ingresso meridionale del parco di Yellowstone. Ben più grave, è stato compromesso il programma degli incontri del simposio annuale di economia politica promosso dalla Fed di Kansas City, l’evento che da quasi quarant’anni rappresenta l’appuntamento più atteso per sapere come la pensa il presidente della banca centrale più importante del pianeta. Sono saltati gli appuntamenti “fisici”, compreso l’attesissimo speech di Jerome Powell, il presidente che pur presente in albergo, parlerà via streaming ad un pubblico virtuale, mentre fioccano le disdette dei lobbisti, che, a frotte, si erano prenotati per partecipare ai lavori (1.500 dollari la tariffa del convegno) e così stabilire un contatto con lo staff di Washington.
Causa il Covid -19, insomma, l’edizione 39 dell’incontro rischia di essere “povera”, forzatamente disertata dai Big della grande finanza che l’avevano scelta, come Mario Draghi in due memorabili sortite (2014 e 2017), come la tribuna per lanciare una volta per tutte l’offensiva contro la politica delle strette finanziarie in nome del sostegno alle economie febbricitanti dopo la grande crisi.
Altri tempi. Oggi la Fed ha già ampiamente anticipato nelle minute pubblicate a scorsa settimana il percorso che intende seguire per uscire, con la massima gradualità, dalla politica di sostegni all’economia che minaccia di accendere la miccia dell’inflazione. La Fed, concordano gli analisti, annuncerà l’avvio del tapering, cioè il taglio degli interventi, il mese prossimo per poi procedere con la massima cautela da fine anno, con l’obiettivo di archiviare gli acquisti entro la metà dell’anno prossimo per poi procedere ad un timido rialzo dei tassi nel 2023. O nel 2024. Mica prima, perché è ancora vivo il ricordo della violenta reazione dei mercati nel 2013, quando l’allora presidente Ben Bernanke fu costretto ad una precipitosa marcia indietro. Powell, che si gioca la riconferma ai vertici la prossima primavera, procederà con i piedi di piombo.
Messa così, una gita a Jackson Hole sembra quest’anno del tutto inutile, a meno di non amare la pesca quanto Paul Volcker, il mitico governatore che sconfisse l’inflazione a costo di scontentare i presidenti. Lui, anno 1982, si fece convincere a partecipare al simposio perché allettato dalla fama delle trote che sguizzano nelle acque dello Snake, il fiume che scorre nella valle. Ma anche per chi non ama la pesca all’amo o una corsa a Yellowstone alla ricerca dell’orso Yogi, Jackson Hole rappresenta comunque una tappa chiave in quanto vetrina delle ricerche e degli orientamenti della politica economica, non solo monetaria, prevalenti all’interno della Fed. Soprattutto quest’anno, in cui gli incontri sono stati dedicati allo studio della “uneven economy”, ovvero delle diseguaglianze e delle terapie necessarie per rimuoverle. In altri termini: una volta preso atto che i tassi bassi ed il denaro abbondante non sono stati sufficienti a ridurre le diseguaglianze, quali saranno i mezzi e gli obiettivi da perseguire nei prossimi anni? Come si comporterà la Fed a fronte di un’inflazione stabilmente superiore al 2 per cento?
Intendiamoci, non è una partita che si gioca sui decimali dei tassi, peraltro oggi più che competitivi rispetto al resto del pianeta, inchiodato sottozero. E a Powell lo ricorderanno i manifestanti, almeno 350, che in barba al Covid promettono di salire al resort per chiedere un impegno preciso alla Fed sul climate change e sulle ineguaglianze razziali mentre i repubblicani, il partito di Powell, arriva il monito di “non uscire dai limiti previsti per la banca”.
Il discorso di Powell, in realtà, affronterà solo di striscio questi problemi, ma dovrà comunque farlo, se vorrà evitare di finire nel mirino dei democratici più radicali che invocano una presa di campo netta e premono per un banchiere centrale più sensibile al verde dei prati che non colore del dollaro. Ma a dare una mano all’avvocato che ha avuto il merito di non piegarsi a Trump (che sui tassi aveva ragione) ci sarà Janet Yellen cui non dispiace questa Fed sdraiata sulle esigenze del Tesoro. E la vera novità è questa: una volta prestati alla politica i banchieri più importanti, da Draghi alla Yellen, l’appeal delle banche centrali è comunque calato.