Di fronte a una giornata politica a dir poco tragicomica come quella che si è consumata ieri attorno all’Italicum, prima con la sostituzione di 10 dissidenti del Pd nella Commissione Affari costituzionali della Camera e poi con la scelta dell’Aventino di tutte le opposizioni, sarebbe ora di squarciare i veli dell’ipocrisia e di dire qual è la vera posta in gioco. Al di là e ben oltre i cavilli e le quisquilie sulla nuova legge elettorale, è evidente che siamo di fronte a una sorta di grande referendum tra la difesa e il consolidamento del governo Renzi o la sconfitta e la liquidazione del suo disegno di modernizzazione del Paese.
Davanti a una strage epocale come quella dei migranti del Mediterraneo o alle grandi sfide per il rilancio dell’economia e per la lotta alla disoccupazione e alle diseguaglianze fa sorridere – se non fosse terribilmente desolante – che il campo di battaglia scelto dalle opposizioni, e in primo luogo dalla minoranza dem non sia quello dei grandi temi su cui si gioca il futuro dell’Italia ma quello delle alchimie di ingegneria elettorale.
Ma c’è qualcuno che crede davvero che la scelta tra il premio alla lista o alla coalizione che vince le elezioni o il dosaggio con il bilancino tra parlamentari scelti con liste bloccate o con le preferenze possano davvero cambiare la vita degli italiani? Via, la gente non è così sprovveduta e il profumo di strumentalità si sente lontano un miglio.
Ogni gruppo politico è naturalmente libero di compiere le scelte che vuole ma, siccome prima o poi dovrà renderne conto agli elettori, sarà bene portare alla ribalta da subito i tanti dubbi che serpeggiano tra i cittadini e le domande che la giornata di ieri porta inevitabilmente con sé.
Andando al cuore delle questioni politiche ed accantonando volutamente i dettagli della riforma elettorale, comprensibili solo ai sacerdoti del tempio ma indifferenti per la stragrande parte della società italiana, i principali interrogativi sollevati dalle mosse delle opposizioni e del Governo sono più di una decina.
Dieci domande attendono una risposta dalle opposizioni (di cui sette dalla dissidenza del Pd) e una, ma cruciale, dal premier Matteo Renzi e dal suo Governo. Ecco quali.
SETTE DOMANDE PER I DISSIDENTI DEL PD
1) Cominciamo dalla madre di tutte le questioni: poiché nelle ultime elezioni il Pd a guida Bersani non è stato in grado di raccogliere il 51% , si può davvero ignorare il tema delle alleanze almeno sulle riforme istituzionali o è inevitabile ricercare un compromesso come è stato fatto con l’Italicum?
2) Posto che l’Italicum non è la riforma ideale, anche se è indiscutibilmente migliore del Porcellum perché indica con certezza chi vince e chi perde ed evita inciuci, è meglio andare alle prossime elezioni con l’Italicum o con il Consultellum e con il conseguente frazionamento ultraproporzionale del Parlamento che renderebbe impossibile la governabilità?
3) La scelta delle preferenze, che oggi viene considerata dalla minoranza dem (e non solo) come la garanzia della palingenesi ispirata dal popolo veniva stigmatizzata fino a due anni fa come l’anticamera di tutte le degenerazioni politiche dagli stessi esponenti che oggi la glorificano: dove sta la verità?
4) Vista l’estrema volatilità della maggioranza a Palazzo Madama, chi può assicurare che emendare nuovamente l’Italicum alla Camera e rispedirlo a Palazzo Madama equivalga a migliorarlo e non invece ad affossarlo, terremotando il Governo e ponendo fine alla legislatura in un momento di svolta per l’economia?
5) La maggioranza del Pd a guida Renzi che ha vinto le primarie, ha vinto il Congresso, ha portato il partito a oltre il 40% nelle elezioni europee e ha vinto tutti i confronti nella direzione del partito e nei gruppi parlamentari sull’Italicum ha diritto o no di affermare la propria linea e di chiedere lealtà e rispetto delle regole democratiche anche alla minoranza interna o il Pd immaginato dalla dissidenza è una babele di lingue dove prevale la dittatura delle minoranze e non si decide mai?
6) E’ vero o non è vero che i rappresentanti di un partito in una commissione parlamentare devono rappresentare fedelmente la linea del partito salvo esprimersi diversamente in aula?
7) E’ vero o non è vero che la possibilità di un gruppo parlamentare di cambiare i propri rappresentanti in una Commissione, alla luce di quanto richiamato al punto 6, non è una novità nata ieri ma è esplicitamente prevista dal regolamento della Camera?
TRE DOMANDE PER LE ALTRE MINORANZE (Forza Italia, M5S e Scelta Civica)
8) Come spiegherà Forza Italia ai suoi elettori la sua improvvisa opposizione all’Italicum, che in precedenza aveva votato al Senato sulla base del Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi e che ora rinnega solo perché, essendo forza di minoranza, non ha avuto – come era ovvio che accadesse – il diritto di prima scelta sulla elezione a Presidente della Repubblica di un uomo da tutti stimato come Sergio Mattarella? Le scelte di riforma istituzionale sono basate sui contenuti o sono variabili dipendenti dai rancori e dai capricci di Berlusconi?
9) Scelta Civica è l’ultima voce della dissidenza, ma come spiegherà il proprio sorprendente voltafaccia sull’Italicum, in precedenza approvato al Senato, con la permanenza nel Governo? L’affannosa ricerca di visibilità passa dalla slealtà al Governo di cui di fa parte?
10) La linea del Movimento 5 Stelle è talmente umoristica da far intendere molto bene perché il suo ineffabile leader sia un ex comico come Beppe Grillo: ma quale credibilità può avere la protesta per la sostituzione dei commissari Pd di un movimento, come quello grillino, che ha fatto delle espulsioni, decise unilateralmente e dittatorialmente dal suo capo, la sua regola aurea verso la dissidenza interna?
E INFINE UNA DOMANDA A RENZI
Dato il prevedibile arroccamento delle minoranze di fronte all’Italicum in vista delle elezioni regionali di fine maggio non sarebbe stato più saggio rinviare la volata finale sulla riforma elettorale ai primi di giugno? Approvare velocemente una riforma elettorale attesa da 9 anni è importante ma l’esplosione delle liti interne al Pd a un mese dal voto non è forse un autogol?