X

ITALIAN FOOD – Cibo di strada: i migliori santuari del buon gusto in Italia

Si chiamano gniummareddi, popizze, ciarimboli, sgagliozze, puccia, strazzata. E ancora: miaccia, tigella, tiella, miassa. Impossibile trovarli nei menù dei ristoranti stellati della penisola, eppure questi nomi evocano antiche tradizioni gastronomiche italiane, sopravvissute alle mode e al mutare dei gusti, il cui ricordo si perde nella notte dei tempi.

Sono i protagonisti dello “Street food” le prelibatezze del cibo italiano di strada disseminate lungo la penisola, un percorso gastronomico alternativo a quello della ristorazione ufficiale, che ha una sua dignità e nobiltà e la cui conoscenza si propaga con il passaparola fra foodies appassionati.

Il fenomeno, sempre esistito sotto la cenere, ha  conosciuto una nuova primavera con la crisi economica degli scorsi anni. Al punto che il confine fra cibo di strada e ristorazione sta sempre più assottigliandosi in Italia come all’estero. E oggi la ristorazione veloce e il take-away cominciano a muovere  grandi numeri senza per questo rinunciare alla qualità. Perché se in origine cibo di strada significava solo cibo povero, oggi invece, anche attraverso l’utilizzo di materie prime di qualità e la capacità creativa degli Street Chef, il cibo di strada è diventato un vera e propria eccellenza gastronomica. E in tempi di Expo anche il cibo di strada  può ambire a riservarsi – è il caso di dire – un suo spazio al sole con i migliaia e migliaia di turisti che arriveranno a Milano e di li approfitteranno per concedersi escursioni e itinerari alla scoperta del Bel Paese.

Mauro Rosati, esperto di politiche agricole ed agroalimentari, direttore generale della Fondazione Qualivita, che opera per la valorizzazione della produzione agroalimentare italiana, ha lanciato una sorta di Manifesto del cibo di strada italiano che, per definirsi tale, deve: essere collegato al territorio attraverso una tradizione gastronomica con  l’utilizzo di materie prime specifiche preferibilmente certificate (DOP, IGP, BIO), essere servito in monoporzione e confezionato in maniera da potersi mangiare ovunque, essere fatto con l’apporto della manualità, essere conveniente rispetto ad un pasto servito, essere elaborato seguendo una ricetta tradizionale o una interpretazione originale e creativa. E, non da ultimo, procurare una sensazione non solo di sazietà ma di benessere.

Su questi principi Mauro Rosati in collaborazione con i maggiori esperti del mondo agroalimentare italiano e Italiaonline, l’internet company italiana che include, tra le altre web properties, i portali Libero e Virgilio, ha dato vita a un portale “CiboDiStrada.it” che ha assegnato anche gli Oscar ai migliori cibi di strada italiani.

Al primo posto si è classificato il palermitano Nino u’ Ballerino dal 1802, al secolo Antonino Buffa, con il suo “Pani ca’ meusa schiettu” che Nino realizza nel suo locale di Via Finocchiaro Aprile, con banco esterno, esibendosi in alcuni movimenti  ritmati di mani e piedi che gli sono valsi il soprannome. Un panino a base di milza e polmone di vitello cucinati nella sugna della più antica tradizione siciliana – qualcuno lo fa risalire al medioevo quando gli ebrei palermitani, impegnati nella macellazione della carne, non potendo percepire denaro per fede religiosa per il proprio lavoro, trattenevano come ricompensa le interiora che rivendevano come farcitura insieme a pane e formaggio – ancora oggi largamente diffuso al mercato della Vucciria.

Bisogna spostarsi invece a Padova per il secondo posto. Se lo è aggiudicato “La Folperia da Max e Barbara”, un banchetto mobile  gestito in Piazza della Frutta  da Massimiliano e Barbara Schiavon. Una vera e propria istituzione nella cittadina veneta avviata dai genitori 40 anni. Oggi come ieri Massimiliano e Barbara rifocillano turisti e cittadini con  i folpetti, moscardini  lessati in acqua, sale e alloro per mezz’ora, poi lasciati riposare in pentole al caldo e serviti con salsa al prezzemolo, olio, pepe e succo di limone appena spremuto. Ma il loro banchetto sforna anche i bovoletti (lumachine) le masenette (granchi) lesse, le polpette di gamberi e il baccalà “mantecato”.

Una crêpe farcita con sella di san Venanzo, pecorino semistagionato del Caseificio Montecristo ed erbe campagnole è valso il terzo posto a “Le Roi de La Crêpe” ovvero Fabrizio Cerquaglia, in corso Cavour  a pochi passi da Piazza Garibaldi a Todi. Dalla sua cucina escono oltre alle crepes anche panini, hamburger, piadine, tigelle, hot dog, che  giovani, turisti e famiglie consumano sulle panchine davanti alla Fonte Cesia.

Quarto posto per “I Sapori del mio paese” di Domenico Malvasi in Via Messina a Marconia di Pisticci (MT) per la sua Puccia con porchetta. Un  panino farcito con porchetta preparata con fesa di maiale e pancetta. Le due carni, prima d’essere arrotolate, vengono marinate per tre giorni in un misto di spezie che Malvasi raccoglie nei boschi e macinate in casa, quindui cotte in uno speciale forno a convenzione.

Seguono “All’Antico Vinaio” di Daniele e Tommaso Mazzanti in Via dei Neri a Firenze che fra le varie specialità, rigorosamente  preparate a vista,  sono diventati famosi per  “La Favolosa”, una schiacciata farcita con sbriciolona (tradizionale insaccato di maiale fresco, aromatizzato con semi di finocchio e bagnato con il vino) e crema di pecorino.

Si ritorna in Sicilia e per l’esattezza a Enna in Via IV Novembre per la “Tavola Calda Europa” di Rosario Umbriaco che ‘firma’ un golosissimo Arancino dalla forma cilindrica composto da due strati di riso di Leonforte, uno con zafferano e menta selvatica e il “Piacentinu”,  con ricotta fresca, prezzemolo e pepe nero, con al centro l’aggiunta di fonduta di Piacentinu Ennese DOP.

Raffaele Venditti di Luco dei Marsi (AQ) conquista la settima posizione per il suo laboratorio di Via Pietro Micca. In realtà Pietro e la moglie  sono sempre in giro per l’Italia a bordo di quei camion che si trasformano in negozi alimentari mobili a offrire le sue prelibatezze: prima fra tutte la porchetta di sua produzione morbida e con una leggera speziatura, vincitrice per ben due anni del titolo Porchetta Campione d’Italia,  ma anche panini con salsiccia, polli allo spiedo, fritti misti, panini con salumi, tutto fatto in casa.

A seguire gli “Amici di Ponte Vecchio” in Via dei Bardi, 49b a Firenze. Qui Stefano Masini è maestro insuperabile del Covaccino, un panino preparato con l’impasto della pizza e cotto nel forno a legna, farcito con salsiccia spalmata cruda e rimesso al forno per qualche minuto prima di aggiungere lo stracchino. Ma propone anche covaccini con varie farciture, salate e dolci.

In nona posizione si colloca Pepèn in Via S. Ambrogio, 2 nel borgo omonimo a Parma. L’attività venne avviata 50 anni fa da Giuseppe Clerici, detto Pepèn. Ora il piccolo  locale, dove c’è posto solo per dieci sgabelli, è gestito dai nipoti Riccardo, Stefano e Giancarlo. Allora come oggi si può comporre il proprio pianino a piacimento, ma la notorietà è stata creata da “Spaccaballe”, pagnotta farcita con arrosto di maiale, insalata, pomodori, ketchup, maionese fatta in casa e peperoncino fresco, da “Panino n°1? e “Carciofa”, la tradizionale torta rustica ripiena di carciofi, ricotta, uova e parmigiano.

La top ten si conclude con Bello&Buono, in Viale Sabotino 14 a Milano, dove un giovane bocconiano e un giovane cuoco hanno si sono alleati per dare vita a un piccolo mondo di cucina mediterranea  nel quale sono di casa i pomodori San Marzano, la mozzarella di Bufala di Paestum,  la parmigiana di melanzane nel coccio e la salsiccia di bufala a punta di coltello. Ma la vera golosità di Antonio e Vincenzo è il “Cuoppo di fritto” un cartoccio di fritto composto da zeppole, montanare, arancini, panzerotti e polpettine. Il locale possiede un’ape, una vera e propria friggitoria mobile per raggiungere i clienti on the road.

Se questa è la top ten Cibodistrada.it apre una finestra ampia su tutto il variegato mondo dello street food italiano con indicazioni particolareggiate sui protagonisti, gli indirizzi, le specialità, la storia. Si potrebbe ancora parlare infatti della  Masardona con la scarola a Napoli, dei fritti di Sora Milvia sul Lungotevere a Roma, della granita di mandorle del Caffè Noto, dello Sfincione di Porta Sant’Agata a Palermo, della Cornucopia di Ciro Coccia a Napoli, della mitica Fugassa la focaccia genovese che la famiglia Patrone, produce dal 1920 a porta Soprana a Genova , del Lampredotto del trippaio di Porta Romana a Firenze, delle Scagliozze baresi, della Scaccia aquilana e di tanto altro.

Related Post

La Fondazione Qualivita ha tentato anche di tracciare una mappa che quantifichi approssimativamente il  settore. Numeri per difetto, ovviamente, data la capillarizzazione del fenomeno, ma che rendono un idea del mondo che caratterizza il cibo di strada nel nostro paese. Al 2014 su 312.000 attività ristorative “totali”  si contano 55.000 attività “Street food” equivalenti al 18% del totale. Una realtà di tutto rispetto  che d’altronde affonda le sue radici nella storia. In fin dei conti lo street food nasce nei mercati dell’antica Roma, dove colazione e pranzo venivano consumati in piedi  mentre ci si sedeva a tavola solo alla sera, al termine di una dura giornata di lavoro. E proprio il suo radicamento nella realtà quotidiana popolare ha fatto sì che conservasse nel tempo il ruolo di memoria storica delle  ricette della tradizione, soprattutto quelle più povere, che anche quando vengono rivisitate mantengono sempre un forte legame con il territorio e con i suoi prodotti. Oggi possiamo proprio parlare di una vera e propria cucina urbana italiana che prende spunto proprio dal cibo di strada e dalla creatività dei giovani cuochi, o ‘street chef’, che approcciano questa ristorazione con le medesime caratteristiche di un tempo  ovvero velocità di esecuzione, economicità e qualità delle materie prime.

Ecco dunque che lo street food può ambire a diventare oggetto di un vero e proprio “gran tour” di antichi sapori del bel paese,  l’elemento originale di un viaggio alla scoperta dell’Italia fuori dai palazzi, quella più genuina  che si basava e si basa tutt’ora, sul rispetto  delle stagioni, delle materie prime, del territorio, che non conosce mode e sperimentazioni, attenta all’esaltazione dei sapori. Può sembrare incredibile ma a pensarci bene è il messaggio per gli anni a venire che ci proviene in questi giorni dall’Expo e che tutti i grandi chef  esaltano da qualche tempo a questa parte. Come a dire il passato non solo ritorna ma guarda molto più avanti di noi, qualche volta.

Categories: News
Tags: Italia