Prendere tempo. È questo adesso l’obiettivo dell’Italia, che tratta con la Commissione europea e con gli altri 26 membri Ue per ottenere un rinvio al via libera alla procedura d’infrazione. Si parla di far slitta tutto dall’Ecofin in calendario per il 9 luglio alla riunione successiva, che si terrà a ottobre. Ovvero non solo dopo l’assestamento di Bilancio, in arrivo la prossima settimana, ma anche dopo la nota di aggiornamento al Def, prevista per metà settembre, e la bozza della legge di Bilancio, da presentare entro la fine dello stesso mese.
Bruxelles sembra disponibile, a patto però che l’Italia non si limiti a correggere i conti del 2018-2019, ma assuma anche impegni chiari e stringenti su quelli del 2020, che rischiano di vedere il deficit schizzare al 3,5% del Pil (mezzo punto percentuale oltre il parametro di Maastricht) e il debito abbattere il muro del 135%.
Accettare queste condizioni vorrebbe dire per l’Italia porre un’ipoteca sulla manovra di bilancio, già gravata da clausole Iva che richiederanno 23 miliardi per essere sterilizzate. Morale: non c’è spazio per la Flat tax da “almeno 15 miliardi” che il vicepremier leghista, Matteo Salvini, continua a dare per certa ormai da settimane, incurante della necessità di finanziare la misura in deficit.
Che il capo del Carroccio accetti di ammainare la bandiera della tassa piatta non è affatto scontato. Anzi, sembra improbabile, visti i toni da campagna elettorale permanente usati dal ministro dell’Interno e le parole di sfida rivolte quotidianamente dal Viminale all’indirizzo di Bruxelles.
D’altra parte, la fase che si sta aprendo è la più delicata che il governo Conte abbia attraversato finora: il 20 luglio si chiude infatti la finestra di tempo per riportare il Paese alle urne entro fine settembre, al termine di un’inedita campagna elettorale estiva. In molti scommettono che entro quella data si aprirà la crisi di Governo. E il dissidio sulla Flat tax potrebbe essere il pretesto che la Lega stava cercando.