Il mondo dopo la fine del mondo, più o meno come il titolo del bellissimo libro di Luis Sepulveda del 1988. Alzi la mano chi dall’inizio della pandemia di Coronavirus non ha pensato almeno una volta che il nostro modo di vivere sarebbe cambiato alla fine di questa terribile esperienza. Come, però? Che cosa sparirà delle nostre abitudini e che cosa invece apparirà di nuovo alla fine del tunnel? La casa editrice Laterza nel luglio scorso aveva lanciato un programma molto ambizioso per analizzare le trasformazioni avvenute e descrivere possibili scenari, sfidando 50 studiosi e opinionisti ad avanzare e discutere le loro ipotesi. L’obiettivo di raccogliere le idee e le suggestioni in un libro era abbastanza ovvio per una casa editrice: non altrettanto scontato era che il cantiere restasse aperto.
È accaduto così che lo scorso fine settimana, rigorosamente in streaming, per tre giorni, sono tornati a dialogare fra di loro filosofi, economisti, giornalisti, scrittori, banchieri, amministratori, artisti e analisti politici, condotti dallo studio della casa editrice a Roma e dalla sede del teatro Storchi e del Bper Banca Forum Monzan a Modena.
Al dialogo ha partecipato anche Salvatore Rossi, presidente di Tim, già numero due della Banca d’Italia, che per disegnare il futuro dell’Italia è voluto partire da quello che è già cambiato nelle famiglie italiane. “L’epidemia – dice – ci ha già abituato a lavorare e a scambiarci idee a distanza, con un collegamento audio video, ma tutta questa gigantesca impalcatura si regge su connessioni rapide, forti, efficienti e capillarmente diffuse. La rete fissa unica per le connessioni cosiddette ultrarapide risponde esattamente a questa esigenza ormai imprescindibile”.
Insomma, i grandi investimenti che, grazie soprattutto ai fondi che arriveranno dall’Europa, avranno il compito di ammodernare e rafforzare l’intero corpo affaticato e invecchiato dell’Italia, dovranno puntare non solo a dotare il nostro Paese di infrastrutture materiali (strade, ponti, porti e aeroporti), ma anche immateriali, vale a dire le reti di telecomunicazioni. Concetto che il presidente ha già espresso nel suo ultimo libro “La politica economica italiana dal 1968 a oggi”.
E se il pensiero va subito alle grandi risorse finanziarie che servono, Rossi non crede che siano un ostacolo, anzi, sottolinea che “non sarebbero un problema: sia le istituzioni pubbliche europee sia gli investitori privati sono pronti a metterci parecchio denaro. Sono invece fondamentali le norme, le procedure e la governance”. Già, la questione delle questioni nel nostro Paese: “Le norme e le prassi giuridico-amministrative che influenzano, direttamente o indirettamente, il funzionamento dell’economia. Questo tema – sostiene Rossi – è talmente generale e pervasivo che ricomprende tutti gli altri, istruzione e infrastrutture comprese. Su di esso l’Italia si gioca il suo destino”.
Ma il presidente di Tim è ancora più severo. “Il diritto italiano attuale – continua – è spesso ostile all’economia di mercato. Non si limita a correggerla per tutelare interessi pubblici superiori, la soffoca con norme e adempimenti volti a impedirne il funzionamento. Le norme anticorruzione ne sono un esempio. La corruzione nelle funzioni pubbliche è una piaga italiana da secoli, ma per ricondurla a proporzioni accettabili occorrerebbe riformare organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione. Invece si è scelta la via più facile di fare la voce grossa con norme generali che danno per scontata la corruttibilità di tutti i funzionari, con il risultato di paralizzarne l’azione. Questa scelta è via via peggiorata negli ultimi decenni per la perversa alleanza di fatto fra classe politica e un ceto di funzionari pubblici paralizzato dal timore di inchieste e ricorsi”.
Nello stesso Forum, il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, ha insistito sul grande tema della burocrazia che soffoca spesso l’azione di ogni amministrazione. Rossi però precisa: “La parola burocrazia usata per stigmatizzare la paralisi decisionale è del tutto fuorviante: il funzionario pubblico, certamente badando alla sua sicurezza personale, applica però le norme esistenti; le norme sono prodotte dalla funzione legislativa; quest’ultima è esercitata di fatto da altri funzionari pubblici annidati negli uffici legislativi dei ministeri in nome e per conto dei politici al governo, che glielo lasciano fare per mancanza di competenze tecniche o per cavalcare mode del momento in voga presso il proprio elettorato. Questa morsa è apparentemente imbattibile, non per ragioni giuridiche ma politiche”.
Ricorda Rossi che “il dibattito pubblico recente, animato da insigni figure di giuristi ed ex ministri, ha indicato modi tecnicamente semplici per ovviare agli inconvenienti principali dell’ordinamento attuale. La ragione per cui non si procede è politica, com’è ovvio trattandosi in ultima analisi della volontà del Parlamento. Nessun esponente o forza politica se la sente di andar contro il clima di giustizia sommaria presente in ampie parti dell’elettorato, da un lato, e la volontà delle corporazioni di conservare le proprie prerogative, dall’altro”.
Ed eccoci tornati al “mondo dopo la fine del mondo”. Perché questa crisi “gravissima” come quella che stiamo attraversando – conclude Rossi – potrebbe costringere “ad agire in modo lungimirante una politica normalmente miope per ragioni elettoralistiche”. Appare soprattutto una speranza. Che però, come sappiamo, è l’ultima a morire.