Nel 2022 il Pil italiano è cresciuto del 3,7% rispetto al 2021, mentre il deficit si è attestato all’8%. Lo comunica l’Istat.
Istat rivede al ribasso il Pil 2022 a +3,7%
Il dato diffuso oggi (+3,7%) è inferiore alle stime rilasciate dall’Istat lo scorso 31 gennaio che indicavano una crescita dell’economia del 3,9%. È però in linea con le previsioni della Nadef che a novembre scorso aveva fissato la crescita 2022 al 3,7%.
“Nel 2022 l’economia italiana ha registrato una crescita decisa, ma inferiore rispetto a quella del 2021”, commenta l’Istituto Nazionale di Statistica, precisando che lo scorso anno il Pil ai prezzi di mercato è stato pari a 1.909.154 milioni di euro correnti, con un aumento del 6,8% rispetto all’anno precedente.
“A trascinare l’aumento del Pil (+3,7%) è stata soprattutto la domanda nazionale al netto delle scorte, mentre la domanda estera e la variazione delle scorte hanno fornito contributi negativi”, spiega l’Istat. Nei dettagli, la domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito positivamente alla dinamica del Pil per 4,6 punti percentuali, mentre l’apporto della domanda estera netta è stato negativo per 0,5 punti e quello della variazione delle scorte per 0,4 punti.
E ancora: lo scorso anno la domanda interna ha registrato, in termini di volume, un incremento del 9,4% degli investimenti fissi lordi e del 3,5% dei consumi finali nazionali. Tra le singole voci, “la spesa per consumi di beni è aumentata del 2,4% e quella per servizi dell’8,8%. Gli incrementi più significativi, in volume, si rilevano nelle seguenti funzioni di consumo: spese per alberghi e ristoranti (+26,3%), per ricreazione e cultura (+19,6%) e per vestiario e calzature (+14,8%). Si registrano variazioni negative nelle spese per alimentari e bevande non alcoliche (-3,7%), per istruzione (-1,2%) e per servizi sanitari (-0,4%)”. La ripresa post-Covid ha dunque spinto l’Italia anche nel 2022.
Per quel che riguarda i flussi con l’estero, le esportazioni di beni e servizi sono salite del 9,4% e le importazioni del 11,8%.
Il valore aggiunto ha registrato aumenti in volume del 10,2% nelle costruzioni e del 4,8% nelle attività dei servizi. L’Istat ha rilevato però contrazioni dell’1,8% nell’agricoltura, silvicoltura e pesca e dello 0,1% nell’industria in senso stretto.
Istat: deficit sale all’8%, effetto Superbonus
Le nuove indicazioni Eurostat che portano a contabilizzare subito il deficit legato ai crediti fiscali maturati dai contribuenti per i lavori edilizi, Superbonus in primis, pesano sull’Italia. Nel 2022 il rapporto deficit/Pil italiano si è attestato all’8%. Nella Nadef, il Governo aveva previsto un deficit al 5,6%. A pesare sull’aumento, sottolinea l’Istat, è stato proprio l’impatto dei crediti d’imposta, e soprattutto del Superbonus. La stessa voce ha portato anche ad una revisione peggiorativa dei dati 2020 e 2021, pari rispettivamente a -0,2% e -1,8%. In percentuale, nel 2020 il deficit si è attestato quindi al 9,7% del Pil (dal 9,5%) e nel 2021 al 9,0% (dal 7,2%).
Alla luce del nuovo quadro interpretativo e a seguito dell’esito degli approfondimenti metodologici condotti congiuntamente da Istat e Eurostat, spiega l’Istituto, “è mutato il trattamento contabile del ‘Superbonus 110%‘ e del cosiddetto ‘Bonus facciate‘ a partire dall’anno di stima 2020. Entrambi i crediti di imposta sono ora classificati come crediti di imposta di tipo ‘pagabili’, e registrati nel conto consolidato delle Amministrazioni pubbliche come spese per l’intero ammontare”. Nelle precedenti stime, entrambe le agevolazioni erano state classificate come crediti di imposta di tipo ‘non pagabili’ ed erano quindi registrate come minor gettito nell’anno di utilizzo del credito (quindi, come minore entrata tributaria).
Scende il debito, stabile la pressione fiscale
Le rilevazioni Istat sulla contabilità italiana indicano infine per il 2022 un rapporto deficit/Pil al 144,7% contro il 149,8% del 2021. Il dato in questo caso è migliore delle stime della Nadef che indicavano per lo scorso anno un debito al 145,7% del Pil.
Nel 2022 è invece rimasta sostanzialmente stabile la pressione fiscale sui contribuenti italiani: nel 2021 era al 43,4% del Pil, lo scorso anno al 43,5%.
Gli altri dati macro di oggi: Pmi manifattura, buone notizie
Nel corso della mattinata sono stati pubblicati anche gli indici Pmi manifatturiero di febbraio.
Nell’Eurozona, a febbraio l’indice Pmi manifatturiero è sceso al minimo di due mesi a 48,5 da 48,8 di gennaio secondo i dati diffusi da S&P Global. Il settore resta, dunque, in territorio negativo, visto che una cifra inferiore a 50 segnala contrazione. L’indice è stato trascinato in basso dal sottoindice dei tempi medi di consegna dei fornitori e dalle giacenze degli acquisti. Tuttavia S&P Global vede il bicchiere mezzo pieno: “Un’espansione marginale della produzione segnalata dai produttori dell’Eurozona a febbraio è una buona notizia in quanto rappresenta il primo aumento dallo scorso maggio e un ulteriore miglioramento della tendenza sottostante rispetto al minimo registrato a ottobre. Il quadro di produzione più luminoso riflette innanzitutto un miglioramento su larga scala nelle catene di approvvigionamento, con consegne di fattori produttivi alle fabbriche che sono aumentate in media a un livello che non si vedeva dal 2009. Meno carenze di approvvigionamento e ritardi hanno facilitato una produzione più elevata, consentendo alle aziende di far fronte agli arretrati di lavoro accumulati durante la pandemia”, ha sottolineato Chris Williamson, chief business economist di S&P Global Market Intelligence.
Per quanto riguarda i singoli Paesi, tra gli 8 Paesi monitorati dall’indagine, quattro hanno registrato indici PMI manifatturieri in espansione. Tra essi c’è l’Italia, dove a febbraio l’indice Pmi è salito dai 50,4 punti registrati a gennaio a 52 punti. Un risultato migliore delle attese che indicavano 50,8 punti. A febbraio, in Germania l’indice Pmi manifatturiero è sceso al minimo di tre mesi a 46,3 punti dai 47,3 di gennaio scorso. Le previsioni indicavano 46,5 punti. In Spagna l’indice Pmi manifatturiero segna 50,7 punti rispetto ai 48,4 punti del precedente mese di gennaio. Nel Regno Unito, invece, l’indice Pmi è salito a febbraio a 49,3 punti da 47 punti di gennaio, migliorando leggermente anche rispetto alla prima stima pari a 49,2 punti.