Ringrazio FIRSTonline per permettermi di dialogare sulle sue immateriali, ma incisive e stimolanti, colonne con il Professor Beppe Vacca, amico carissimo e insostituibile, e sulle considerazioni che emergono dalla sua intervista a questa testata.
Si discute su un terzo, auspicabile, ma tutt’altro che sicuro “miracolo italiano”.
È certo che se avverrà, avverrà all’interno di un contesto mondiale favorevole di cui farà parte anche l’Europa. Ma la differenza con il primo (quello dell’età giolittiana) e con il secondo (1950-1970) è che l’Europa e gli Stati Uniti non basteranno: dovranno essere tirate dentro il ciclo favorevole la Russia e, soprattutto, l’India e la Cina.
A mio avviso noi dovremmo basare la nostra condotta su un rinnovato senso di appartenenza multipla: italiani, europei, occidentali.
Dico questo perché, sotto questo aspetto, mi sembrano ancora valide le tesi dell’Huntington di Lo scontro delle civiltà, che vedrebbe come innaturale la nostra maggiore vicinanza alla Cina della Via della Seta, piuttosto che agli Stati Uniti di Donald Trump. Certo, i comportamenti di Trump paiono a volte, e a ragione, quanto meno inappropriati, però il presidente americano sembra aver ben compreso la lezione di Huntington, secondo il quale l’inevitabile scontro di civiltà non ha come necessario un esito bellico, ma può essere risolto con un’attività negoziale.
E’ in questo quadro di presa di coscienza della nostra identità (a che serve, se no, la storia?) che potrà avvenire il nostro nuovo balzo in avanti. E se fa bene, ora, il governo Conte a usare la strategia dell’helicopter money – e cos’altro dovrebbe fare, con la catastrofe economica che stiamo vivendo e che pare vivremo anche con maggiore intensità? – superato però il momento dell’estrema urgenza dovrebbe emergere una politica economica ben scolpita che punti su un attore ben preciso, quello che Giuseppe Turani ha chiamato “quarto capitalismo” – né grande impresa privata, né grande impresa pubblica, né piccola impresa – “quarto capitalismo” di cui il mio coautore e “socio” Andrea Colli ha precisato i contorni e le modalità di azione: l’attacco alle nicchie, ma nicchie globali, la formazione di multinazionali, non più tascabili, però, ma vere e proprie, anzi tendenti alla formazione di reti transnazionali che confermino tutto il loro saper fare tecnologico, scientifico e produttivo, mentre dismettono l’abito delle aziende familiari, cercando piuttosto di promuovere la competenza e le capacità dei dirigenti che, come ai tempi di Berle e Means, non possiedono più che lo “zero virgola” di un’azienda, ma di fatto ne esercitano il controllo.
E in Europa? L’Europa è come una famiglia, numerosa e litigiosa, i cui membri sono costretti a stare insieme, perché da soli, per quasi tutti, il peso nella gara internazionale è vicino allo zero. Certo, ci piacerebbe che lavorare a Milano, a Bilbao o a Helsinki fosse più o meno la stessa cosa, che i fratelli europei si dimenticassero che abbiamo il terzo debito pubblico del mondo, che ci lasciassero perseguire i nostri vantaggi comparati.
Per chi, ottimisticamente, osservava l’Unione Europea all’inizio del XXI secolo, questi traguardi sembravano in breve tempo raggiungibili. Qualcosa, però, è andato storto, e dunque dobbiamo attrezzarci alla competizione e al confronto anche in Europa.
Dire che ce la faremo da soli, è insensato. Meglio ricordare il motto che un popolano di buon senso deve aver ricavato dalla lettura di Max Weber: “Aiutati che Dio t’aiuta”.