Vite respinte. E in maniera disumana. Questo il giudizio della Corte europea dei diritti umani (Cedu) di Strasburgo sul caso Hirsi, riguardante il respingimento di oltre 200 immigrati sulle coste libiche. L’Italia è stata condannata a versare un risarcimento di (soli) 15mila euro, più le spese per 22 delle 24 vittime, per aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea sui trattamenti degradanti e la tortura. Il valore non è così elevato perché il compito della Cedu è piuttosto quello di dare un’ammonizione simbolica. E ci è riuscita.
Il caso Hirsi riguarda i respingimenti verso la Libia di circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea. Era il 6 maggio del 2009 e i migranti, intercettati su un’imbarcazione a sud di Lampedusa, sono stati trasbordati su navi italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volontà. Non sono stati né ascoltati, né identificati, né informati sulla loro destinazione. Degli oltre 200 migranti, solo 24 persone sono state rintracciate dal Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) e, insieme agli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci, hanno deciso di presentare ricorso alla Cedu.
E oggi hanno avuto la loro rivincita. La Corte ha stabilito che l’Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive, oltre al diritto effettivo per le vittime di fare ricorso presso i tribunali italiani. E per questo dovrà versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime, in quanto due ricorsi non sono stati giudicati ammissibili.
E’ la sentenza più importante della Corte di Strasburgo per quanto riguarda i respingimenti italiani verso la Libia, dopo la firma degli accordi bilaterali e del trattato di amicizia italo-libico.