Il sogno diventa realtà. L’Italia batte la Spagna e vola alla finalissima di Wembley, dove affronterà la vincente di Inghilterra-Danimarca (ore 21), e lo fa al termine di una semifinale tiratissima, nella quale la Spagna, probabilmente, avrebbe meritato qualcosa in più. Alla fine però contano i risultati e gli azzurri sono riusciti a conquistarlo ai calci di rigore, dove Donnarumma e Jorginho sono stati decisivi.
Non è stata certo la miglior Italia, ma poco importa: partite così si vincono anche grazie agli episodi e alla fortuna, che peraltro non tolgono nulla a un cammino sin qui praticamente perfetto, di sicuro superiore a quello degli iberici. Certo, ieri abbiamo avuto paura, perché le nostre velleità di possesso palla e gioco dominante si sono scontrate contro la superiorità della Spagna, capace di farci girare a vuoto per gran parte del match. Per fortuna nostra, le Furie Rosse, tanto brave a muovere la sfera, non sono state altrettanto efficaci nell’affondare i colpi, permettendoci di restare in partita con le unghie e con i denti, anche nei momenti di maggior difficoltà.
“È stata una partita durissima, la Spagna è una grande squadra, sono i maestri del possesso palla – l’analisi di Mancini – Noi abbiamo fatto una buona gara, ma non come al solito. Ci hanno messo in difficoltà all’inizio, poi abbiamo trovato le coordinate giuste e non abbiamo subito più di tanto, ma sapevamo bene che avremmo dovuto soffrire. I meriti sono dei ragazzi, perché tre anni fa ci hanno creduto da subito, ma non è ancora finita: ora dobbiamo recuperare le forze che ci sono rimaste, perché c’è una finale da vincere”.
“È stata la partita più difficile che abbia mai giocato – gli ha fatto eco Bonucci – Ancora una volta abbiamo mostrato i nostri valori, la capacità di soffrire e la resilienza che contraddistingue noi italiani. Ora bisogna recuperare le forze, perché manca ancora quel centimetro…”.
Tanta gioia, insomma, quantomeno pari (se non, ovviamente, superiore) alla sofferenza passata nei 120’ di Wembley. Inutile nasconderlo, a livello tattico la Spagna ci è stata superiore, se non altro perché questa volta, a differenza del passato, pensavamo di poterla battere sul suo stesso terreno, ovvero quello del possesso palla e del gioco offensivo. Che non sarebbe stato così, invece, lo si è capito sin dai primi minuti, quando è apparso chiaro che la mossa di Luis Enrique di rinunciare a Morata (ovvero alla punta di ruolo) in favore del “falso nueve” Dani Olmo aveva pagato.
Uno dei nostri maggiori punti di forza, infatti, vale a dire Chiellini in marcatura, è venuto meno, in compenso però gli spagnoli hanno guadagnato un uomo in più sulla trequarti, costringendoci, minuto dopo minuto, ad arretrare il baricentro e stringere i denti. In un contesto del genere l’Italia ha ritrovato l’imprinting originale del suo calcio, dunque il caro vecchio contropiede, tanto disprezzato quanto utile: è così che al 60esimo è arrivato l’1-0 di Chiesa, figlio di una ripartenza verticale d’altri tempi finalizzata con un destro a giro d’applausi.
Mancini a quel punto ha provato a coprirsi inserendo forze fresche (fuori Emerson, Verratti e un impalpabile Immobile per Toloi, Pessina e Berardi), ma il copione non è cambiato e la Spagna, dai e dai, ha sfondato il bunker all’80’ con Morata, subentrato qualche minuto prima a Ferran Torres: 1-1 e palla al centro, dunque ai supplementari. Dove il copione, nonostante gli ulteriori cambi (Bernardeschi per Chiesa, oltre a Locatelli e Belotti al posto di Barella e Insigne), non è cambiato, con gli azzurri in grande difficoltà sia a livello di possesso palla (69% a 31) che di tiri verso la porta (1 a 4).
Il cronometro però ha fatto il suo corso, portando la sfida ai calci di rigore e lì siamo stati più bravi noi, nonostante il brivido iniziale provocato dell’errore di Locatelli. Per fortuna però, subito dopo, ha sbagliato anche Dani Olmo, riportando immediatamente la sfida sul risultato di parità. Da lì in poi una striscia verde da ambo le parti (Belotti e Bonucci per noi, Moreno e Thiago Alcantara per loro), fino al quarto rigore: gol di Bernardeschi, errore di Morata, ipnotizzato da un glaciale Donnarumma. Il match point è così finito sui piedi di Jorginho, che ha mandato al bar Unai Simon e in piazza a festeggiare tutta l’Italia.
Ora comincia un lungo count-down fino a domenica, giorno della finalissima, quando ce la vedremo contro i favoritissimi inglesi o con gli outsiders danesi. Lo sapremo solo questa sera, intanto però abbiamo una certezza: noi saremo a Wembley, a giocarci un trono d’Europa che manca dal 1968. Tanta roba, ma non abbastanza per dirci soddisfatti, visto che, a questo punto, la medaglia d’argento non renderebbe giustizia al nostro percorso, andato al di là di ogni più rosea aspettativa, e proprio per questo meritevole di un trionfo che finirebbe di diritto sui libri di storia.