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Italia, bassa produttività = bassa crescita

FIRSTonline

Per «produttività del lavoro» si intende il rapporto tra il fatturato generato e la quantità di lavoro impiegata in un processo produttivo. Si tratta, in pratica, del livello di efficienza di un sistema. Soprattutto a proposito dell’economia italiana, il tema viene spesso citato quando si cercano di comprendere le ragioni della crisi e si studiano le soluzioni per un ritorno alla crescita. Ultimo in ordine di tempo, il Fondo Monetario Internazionale lo scorso 12 aprile ha citato testualmente la «lenta crescita della produttività» come una delle ragioni che hanno portato a un taglio delle stime di aumento del PIL per l’anno in corso e per il 2017. Vale dunque la pena osservare qualche dato sull’argomento, per cercare di capire quale sia la situazione in merito sia a livello globale che per quanto riguarda il nostro paese.

Possiamo iniziare analizzando i dati della tabella 1, che evidenziano la dinamica della produttività a livello mondiale negli ultimi venti anni. Il progresso tecnico e la maggiore istruzione media hanno mediamente generato un miglioramento dell’efficienza. Il ritmo di questo miglioramento, però, è sensibilmente diminuito con l’arrivo della grande crisi. Tra i paesi del G7 la crescita della produttività si è più che dimezzata nell’ultimo decennio, e anche guardando ai dati dei cosiddetti «Piigs» si nota (con l’eccezione positiva della Spagna) un netto calo.

A risaltare in maniera particolare sono però i numeri relativi all’Italia: negli anni pre-crisi, il tasso di crescita della produttività del lavoro era stato già molto inferiore a quello delle maggiori economie mondiali. In seguito poi, mentre a livello globale si è assistito solamente ad un rallentamento, nel nostro paese abbiamo avuto una frenata vera e propria. Il «rendimento» del lavoro è così oggi allo stesso livello di dieci anni fa.

Tra i paesi analizzati, ha fatto peggio di noi solamente la Grecia, dove per motivi facili da comprendere negli ultimi anni si è assistito a una pesante contrazione. La dinamica è dunque chiara: a livello globale non si riesce più a generare quel ritmo di crescita dell’efficienza che si osservava a cavallo del 2000; decisamente peggiore è però la situazione nel nostro paese, dove la produttività del lavoro era bassa prima della crisi ed è ferma ormai da anni. Analizzati i dati «relativi», per avere una visione più chiara del fenomeno è bene a questo punto dare un’occhiata anche ai dati «assoluti». La tabella 2 confronta quindi il livello di Prodotto Interno Lordo per ora lavorata del 1995 con quello odierno.

Le due «fotografie» mostrano una situazione molto differente: a metà degli anni ’90 la Francia vantava la migliore efficienza produttiva tra le grandi economie mondiali, seguita dalla Germania. Il PIL medio per ora lavorata generato nel nostro paese era superiore alla media dei paesi G7 ed in linea con quello degli Stati Uniti. Oggi, invece, la produttività del lavoro italiana è scesa ben al di sotto della media. Tra le maggiori economie, solamente il Giappone ha un livello di efficienza inferiore (ma negli ultimi anni sta lentamente colmando il gap). E anche a livello continentale siamo stati superati tanto dalla Spagna quanto dall’Irlanda. La palma di economia più produttiva spetta invece agli USA, dove la crescita dell’efficienza nonostante la crisi è stata elevata nel corso dell’intero periodo analizzato.

Insomma, i dati appena osservati spiegano molto bene perché la questione della «produttività del lavoro» sia tanto citata quando si parla della situazione economica mondiale, e spiegano ancora meglio perché l’Italia sia il paese più coinvolto in queste discussioni. Da qualche decennio, il nostro paese sta lentamente scivolando dall’essere una delle economie a maggiore «rendimento» verso livelli di efficienza sempre più bassi, con tutto ciò che questo comporta. Migliorare la produttività non è certamente l’unico fattore necessario per uscire dalla crisi, ma è sicuramente un elemento molto importante. In caso contrario, visti i trend attuali, il nostro paese è inevitabilmente destinato a uscire dalla lista dei cosiddetti «grandi».

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