È passato un mese dal crollo del ponte Morandi di Genova.L’Italia non dimenticherà presto quella ferita che ha posto il Paese davanti alle grandi responsabilità per la manutenzione, la cura, la gestione delle opere pubbliche e del suolo. Un Paese ad alto rischio, dove se si piange per le tragedie, si deve avere anche il coraggio di ammettere errori. E qualche volta anche la spuntata incapacità di fare le cose per bene o prevenirle.
L’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale ieri ha pubblicato la mappa nazionale del dissesto idrogeologico. Un’emergenza nota quanto trascurata, fatta eccezione per le scongiurabili circostanze delle tragedie. Nove Regioni hanno il 100% dei Comuni a rischio, con la Liguria tra quelle messe peggio. La black list mette, poi, dentro Valle D’Aosta, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Molise, Basilicata, Calabria. Nessuno di questi territori negli ultimi anni è stato risparmiato da lutti e catastrofi. Naturali sì, ma con l’impronta dell’uomo. D’altra parte, come spiegare che in meno di 24 mesi la superficie potenzialmente esposta a frane e smottamenti è cresciuta quasi del 3%? E più di 7 milioni di famiglie vivono ormai in reale pericolo?
Il lutto di Genova ha fatto evocare al Governo un Piano Marshall da 50 miliardi di euro. Un intervento straordinario esaltato dal premier Conte senza l’alibi di vincoli di bilancio e tranelli burocratici. Alle lodi ricevute per quell’annuncio, non sono ancora seguite decisioni indispensabili per dare serenità a tutti. E lo ricordiamo oggi quando è un’altro pezzo dello Stato – l’Ispra, appunto – a denunciare che il 91% dei Comuni italiani è ad alta pericolosità. Una colpa collettiva senza attenuanti perché gli onesti pagano le tasse e prima di ogni altra cosa hanno diritto a vivere in territori sicuri.
Ci sono i denari per intervenire? Chi deve mettere mano al roboante Marshall? Il ministro dell’Economia Giovanni Tria dopo il crollo del Morandi si è impegnato ad accelerare la spesa a 360 gradi. Deve solo mettere le mani sugli 82 miliardi delle finanziarie 2017 e 2018 del governo Gentiloni. Perché i predecessori avevano previsto la spesa, sebbene non abbiano dato corso a progetti esecutivi. Non hanno fatto in tempo per la cronica vischiositá delle procedure e la lunga catena dei poteri decisionali locali e centrali. Hanno lasciato documenti e relazioni fondamentali per agire come mai è accaduto. E se non bastava, l’Ispra ha fatto il proprio dovere di aggiornare tutto e tutti con la mappa della paura.
Sono 50mila i chilometri quadrati di Bel Paese in procinto di sprofondare e 550mila gli edifici e le fabbriche predisposti al crollo. Nonostante l’angoscia prorompente, sono cifre che governanti sapienti possono utilizzare come leva per dimostrare che loro sono migliori di chi li ha preceduti. In fondo è il ritornello quotidiano su tutti i temi trattati dal centrosinistra. Se non saranno capaci di fare diversamente dai pre-inquilini, il popolo (non solo quello a rischio frane) li giudicherà.
“Fate presto!” gridò il Presidente Sandro Pertini davanti alle macerie del terremoto dell’Irpinia nel 1980. Il monito di un italiano amato e rispettato che può valere anche per un governo cosi intraprendente.