E così, alla fine della storia anche Edmondo De Amicis nel suo famoso romanzo “Cuore”, dopo averlo messo all’angolo, fa espellere dalla classe quel maverick di Franti.
Può essere che la Ue e l’Unione monetaria europea, a fronte della incessante ostilità fattuale e verbale (spesso ben oltre il livello del non politicamente corretto) del governo guidato dai quattro cavalieri dell’apocalisse (Conte, Salvini, Di Maio e Toninelli), trovino il modo di mettere all’angolo l’Italia per farla uscire da ogni equivoco e, non potendo cacciarla, costringerla ad autoescludersi dall’euro alle condizioni imposte che minimizzino i danni per i rimanenti Paesi e agevolino la ricostruzione dell’Europa.
È bensì vero che i trattati non contengono norme per l’espulsione o la messa al bando di un paese membro, al fine di salvare le economie dei restanti paesi dal crollo in caso di previsto default della sovranista e riottosa Italia, ma una dura e preventiva messa all’angolo potrebbe risultare per la Ue di necessità e virtù.
È per altro altrettanto vero che il reiterato e vantato conflitto dell’Italia con Bruxelles ha ormai superato ogni soglia del politicamente scorretto nella glorificazione della violazione delle regole, tanto da indurre la stessa Austria, supposta amica da Salvini, a invitare perentoriamente l’Italia al rispetto delle regole comuni.
Lo stesso nuovo lessico politico ed economico dei quattro cavalieri dell’apocalisse concorre a rendere incomprensibile la politica finanziaria a tutti coloro che devono difendere il risparmio dei clienti sui mercati finanziari, supposti spietati speculatori complottisti; così come alimenta l’incomprensione dei capi di governo che nella Ue devono assumere decisioni ancora purtroppo unanimi. Ad esempio: il “me ne frego dello spread” che ai più vecchi della Ue fa ricordare tempi cupi; il “non arretreremo di un millimetro” ovvero “li fermeremo sul bagnasciuga”; la “manovra del popolo”, espressione che farebbe invidiare Evita Peron; “spese immorali”, che introduce inopinatamente il concetto di Stato etico; “non parlo con gli ubriaconi” insieme al disprezzo per i vertici del governo di Francia; lo sforamento al 2,4 del Pil festeggiato sul balcone di Palazzo Chigi al pari di una vittoria schiacciante contro i burocrati di Bruxelles; la previsione di moltiplicatori della spesa pubblica che richiamano il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, e così via.
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Infine non poteva mancare il fuoco amico di chi nello stesso giorno in cui Conte abbandona l’Ecofin rilascia interviste a favore del ritorno alla lira al posto dell’euro. Nel loro insieme le dichiarazioni dei leader della Lega e dei Cinque Stelle hanno creato uno stravagante lessico politico ed economico e in alcuni casi decisamente comico (“Abbiamo abolito la povertà”) che non può che lasciare attonite le cancellerie europee; lessico che non può che far sospettare l’esistenza della sottaciuta e reale intenzione dei sovranisti a favore di un percorso strisciante verso Italexit, anche se troppe volte smentito.
D’altronde la dura messa nell’angolo dell’Italia costretta ad autoescludersi dalla Ue potrebbe convenire agli altri Stati, compresi quelli di Visegrad che godono di pingui fondi comunitari. Ad esempio, molti di questi, si libererebbero dal rischio di dovere condividere i rischi del debito pubblico italiano e dell’uso del fondo salvastati; cadrebbero gli impegni comunitari verso l’Italia per i migranti; la Francia a fronte della vittoria dei No-Tav potrebbe favorire una nuova Tav al Nord delle Alpi per collegarsi ai paesi dell’Est, e se nel caso mai anche alla nuova via della seta; la Germania a fronte della vittoria dei No-Tub potrebbe cogliere l’occasione per diventare con il North Stream il vero rubinetto per il gas dell’d’Europa, e così via.
All’Italia lasciata sola nell’irritazione dei muscolari sovranisti, resterebbe il ritorno tanto auspicato alla politica monetaria, a quella della libera e allegra gestione della finanza pubblica con annesso circolo velenoso tra spesa pubblica e interessi passivi sul debito e alle tanto rimpiante svalutazioni competitive che esonerano le imprese dagli investimenti di lungo periodo in ricerca e sviluppo, ricreando come nel passato un circolo perverso di inflazione interna e svalutazioni del cambio. Infine, il probabile mancato rinnovo dei titoli pubblici in scadenza da parte degli investitori esteri (che ne possiedono un terzo) riporterebbe entro la sovranità italiana la gestione dell’intero debito pubblico. E così, perché non cogliere l’occasione auspicata da alcuni garruli economisti assai prossimi e sodali del governo giallo verde per consolidare il debito invocando l’amor di Patria? In fin dei conti lo fece anche Mussolini con il prestito littorio.
Possiamo lamentarci se la Ue fa ci costringe a uscire dal suo club come uno stato maverick ai pari di quell’altro maverick di Franti del romanzo “Cuore”?