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Istat: salari fermi da vent’anni, Italia ultima in Europa per la crescita

Salari bassi, mancanza di crescita, mercato del lavoro allo sbando. L’Italia non sta guarendo dalle sue malattie storiche, anzi, negli ultimi anni la situazione è peggiorata. A certificarlo è l’Istat, che oggi ha diffuso il suo rapporto annuale su “Le prospettive per l’economia italiana nel 2012-2013”.

Per il 2012 l’Istituto prevede una riduzione del Pil pari all’1,5%, mentre l’anno prossimo dovrebbe arrivare la ripresa (+0,5%) grazie al rafforzamento della domanda mondiale e degli investimenti delle imprese. Questi dati sono in netto contrasto con quelli forniti proprio oggi dall’Ocse sul nostro Paese ma sono in linea con le più attendibili previsioni del Fondo Monetario Internazionale, della Bce e della Banca d’Italia. Quanto alla disoccupazione, secondo l’Istat continuerà ad aumentare: quest’anno il tasso arriverà al 9,5%, per poi salire al 9,6% nel 2013.

DAL 2000 PIL +0,4%, ITALIA ULTIMA IN UE PER CRESCITA

Dal 2000 a oggi la performance economica dell’Italia è stata la peggiore in Europa, con una crescita media annua solo dello 0,4%. “Con un punto percentuale in meno all’anno – scrive ancora l’Istat – il nostro Paese si colloca in ultima posizione tra i 27 stati membri dell’Ue, con un consistente distacco rispetto sia ai paesi dell’Eurozona sia a quelli dell’Unione nel suo complesso”.

Inoltre, l’economia sommersa “è un fenomeno rilevante che influenza negativamente il posizionamento competitivo del sistema paese. L’entità del valore aggiunto prodotto dall’area del sommerso economico è stimata per il 2008 in una forbice compresa tra 255 e 275 miliardi di euro, ovvero tra il 16,3% e il 17,5% del Pil. L’effetto della crisi tuttavia ha verosimilmente allargato l’area dell’economia sommersa”.

SALARI AL PALO, RISPARMIO AZZERATO, POVERTA’ IN AUMENTO

I salari reali sono rimasti fermi negli ultimi vent’anni, con la capacità di risparmio degli italiani che si è progressivamente ridotta. “Tra il 1993 e il 2011 – si legge nel rapporto – le retribuzioni contrattuali mostrano, in termini reali, una variazione nulla. Negli ultimi due decenni la spesa per consumi delle famiglie è cresciuta a ritmi più sostenuti del loro reddito disponibile, determinando una progressiva riduzione della capacità di risparmio”. Nel complesso, “dal 2008 il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 2,1% in valori correnti, ma il potere d’acquisto (cioè il reddito in termini reali) è sceso di circa il 5%”.

Quanto alla povertà relativa, “negli ultimi 15 anni ha registrato una sostanziale stabilità. La percentuale di famiglie che si trovano al di sotto della soglia minima di spesa per consumi si è mantenuta intorno al 10-11%”. Il divario territoriale “resta ampio: al Nord l’incidenza della povertà è al 4,9%, sale al 23% al Sud”. Peggiora inoltre “la condizione delle famiglie più numerose: nel 2010 risulta in condizione di povertà relativa il 29,9% di quelle con cinque e più componenti (più 7 punti percentuali rispetto al 1997)”.

LAVORO: MA COSI’ TANTI PRECARI, IN VENT’ANNI +48,4%

“Dal 1993 al 2011 gli occupati dipendenti a termine sono cresciuti del 48,4% (+751mila unità) a fronte del +13,8% per l’occupazione dipendente complessiva – prosegue il rapporto -. Nel 2011 l’incidenza del lavoro temporaneo sul complesso del lavoro subordinato è pari al 13,4%, il valore più elevato dal 1993, e supera il 35% (quasi il doppio del 1993) fra i 18-29enni”.

Il peso degli occupati atipici (dipendenti a tempo determinato, collaboratori o prestatori d’opera occasionale) sul totale degli occupati è in progressivo aumento: ha iniziato con un lavoro atipico il 44,6% dei nati dagli anni Ottanta in poi. E a dieci anni dal primo lavoro atipico – aggiunge l’istituto di statistica – quasi un terzo degli occupati è ancora precario e uno su dieci è senza lavoro. Il passaggio a lavori standard è più facile per gli appartenenti alla classe sociale più alta, mentre chi ha iniziato come operaio in un lavoro atipico, dopo dieci anni, nel 29,7% dei casi è ancora precario e nell’11,6% ha perso il lavoro.

GIOVANI, 4 SU 10 RIMANGONO IN FAMIGLIA

Quattro giovani su 10 fra i 25 e i 34 anni vivono ancora nella famiglia d’origine: la quota è del 41,9%, contro il 33,2% degli anni 1993-94. Il fenomeno per i maschi riguarda il 49,6%, mentre per le femmine la quota è del 34%. Il 45% dichiara di restare in famiglia perché non ha un lavoro o non può mantenersi autonomamente. E in vent’anni – aggiunge l’istituto di statistica – si è dimezzata la quota di giovani che escono dalla famiglia per sposarsi.

I giovani che non lavorano e non studiano (“Neet”) hanno superato i due milioni e la “quota è più alta nel Mezzogiorno, 31,9%, un valore quasi doppio di quello del Centro-nord, con punte massime in Sicilia (35,7%) e in Campania (35,2%), seguite da Calabria (31,8%) e Puglia (29,2%)”.

DONNE, PARITA’ FRA I SESSI SOLO IN UNA COPPIA SU 20

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Solo in una coppia su venti il lavoro familiare e il contributo ai redditi sono equamente distribuiti fra i partner. In una coppia su tre (30%) la donna non lavora e si occupa da sola della famiglia, spesso senza avere accesso al conto corrente (47,1%) e senza condividere le decisioni importanti con il partner (20%). In una coppia su quattro la donna guadagna meno del partner, ma lavora molto di più per la famiglia. L’Istat rivela che l’Italia è in fondo alla classifica europea per il contributo della donna ai redditi della coppia: il 33,7% delle donne tra i 25 e i 54 anni non percepisce redditi (contro il 19,8% della media Ue).

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