I dati sull’andamento dei nostri conti commerciali con l’estero a luglio, resi noti oggi dall’Istat, confermano, migliorandoli, quelli relativi al primo semestre di quest’anno. Aumenta l’export, diminuisce l’import e per la prima volta in diversi anni appare un, seppur modesto, attivo della bilancia commerciale.
A luglio l’aumento tendenziale del valore delle esportazioni (+4,3%) deriva da incrementi sia dei valori medi unitari (+3,8%) sia, in misura più contenuta, dei volumi (+0,5%). La riduzione tendenziale del valore delle importazioni (-4,3%) è determinata da una significativa flessione dei volumi (-7,0%), mentre i valori medi unitari registrano un incremento del 2,9%. Il saldo commerciale di luglio è pari a +4,5 miliardi, con avanzi sia con i paesi Ue (+2,7 miliardi) sia con quelli extra Ue (+1,8 miliardi).
Nei primi sette mesi dell’anno, il saldo commerciale, sostenuto dal forte avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici (+41,9 miliardi), risulta positivo per 4,4 miliardi. L’attivo di beni strumentali contribuisce per quasi il 70% al surplus registrato per i prodotti diversi dall’energia.
Beni strumentali, beni di lusso e – selettivamente – alcuni prodotti dell’agroalimentare hanno dunque trainato la crescita dell’export, riportandoci a livelli mediamente superiori a quelli prima della crisi.
Cosa ci dicono questi dati? Da essi possiamo trarre alcune indicazioni molto utili:
1. l’export al momento è l’unico motore di sviluppo della nostra economia, in un periodo in cui i consumi interni ristagnano da mesi. Il fatto che anche gli incentivi all’export siano stati fortemente penalizzati è indicativo della scarsa attenzione finora prestata alla crescita rispetto al mero rigore sui conti pubblici. Ma il troppo rigore uccide, e senza crescita i tagli non bastano. Bisogna sostenere meglio l’export, come fanno del resto i nostri partner europei (Germania e Francia in testa), soprattutto quello di beni strumentali e di impianti. Il ritorno, in termini di maggiori ricavi fiscali provenienti sia dalle imprese che dalle famiglie dei lavoratori, e di maggiore occupazione (le imprese che esportano sono le uniche che assumono, o perlomeno non licenziano) è maggiore della spesa per gli incentivi;
2. le imprese che maggiormente esportano sono premiate dal fatto che: a) possono pagare meglio i loro lavoratori, e quindi possono avere una manodopera più qualificata e produttiva; b) crescendo sui mercati esteri, fanno crescere una cultura d’impresa legata all’internazionalità, fanno crescere la professionalità delle loro maestranze più qualificate, in un circolo vizioso che si alimenta di continuo;
3. gli andamenti alterni dell’euro (in calo nei primi 6-7 mesi dell’anno, in leggero aumentano negli ultimi due mesi) non sembrano avere grande influenza sui nostri conti con l’estero. Una diminuzione delle quotazioni della valuta europea non premia né le esportazioni intra-UE (che restano comunque la maggioranza) né quelle dei settori trainanti prima nominati, che, essendo settori di punta, sono alquanto insensibili all’andamento dei cambi e quindi svolgono una funzione anticiclica. Inoltre il calo dell’euro contro dollaro penalizza la nostra bilancia commerciale a causa dell’aumento della bolletta energetica (ricordiamo che importiamo l’85% dei nostri consumi energetici).
Speriamo che anche il Ministro Passera condivida queste considerazioni, e costruisca un’agenda per la crescita del paese che supporti maggiormente l’industria esportatrice.