Cresce la violenza nella guerra fra Israele e Hamas. Al terzo giorno dall’inizio degli scontri il bilancio si appesantisce: sulla Striscia di Gaza i raid aerei dello stato ebraico hanno causato più di 80 morti e 575 feriti, mentre Israele ha fronteggiato una tempesta di 365 razzi, una media di uno ogni 10 minuti, per la maggior parte diretti verso città distanti fino a 150 km da Gaza e persino nelle vicinanze della centrale nucleare israeliana di Dimona.
“Una tregua non è in agenda” ha dichiarato il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Nel frattempo, dopo due giorni di diniego, l’Egitto ha acconsentito ad aprire una parziale valvola di sfogo per la popolazione palestinese intrappolata nella Striscia riaprendo il valico di Rafah, misura, che comunque non trova ancora riscontri concreti sul terreno ma che permetterebbe l’evacuazione in ambulanza almeno di feriti gravi verso gli ospedali del Sinai.
Ieri le parole del presidente israeliano Shimon Peres sono risuonate come un ultimatum: o si ferma il lancio di razzi da Gaza, o un’operazione di terra, paventata da giorni, diventerà inevitabile. Mentre il presidente palestinese, Abu Mazen, ha replicato denunciando “un massacro, un genocidio” a Gaza.
Nelle ultime 24 ore, e in particolare durante la notte i militari israeliani affermano di aver colpito oltre 320 obiettivi nel territorio di Gaza: presi di mira postazioni di lancio, tunnel, basi di addestramento, depositi di armi e munizioni, capi militari di Hamas o delle altre fazioni radicali, distrutto il lato palestinese del valico di Eretz. Questa mattina, l’ultimo strike ha centrato un’auto su cui viaggiavano 3 persone a Jabalya, nel nord della Striscia. Nello stesso lasso di tempo sono stati lanciati oltre 100 razzi, di varia gittata, 21 dei quali intercettati in volo e 82 caduti in territorio israeliano.