Quest’anno gli stranieri che vengono a fare le vacanze da noi sono pochi ma pochi sono anche gli italiani che vanno all’estero. Era inevitabile che la pandemia cambiasse le abitudini anche nel periodo delle vacanze. Ed è quello che sta avvenendo nel bene e nel male. Nel bene con la riscoperta del turismo di prossimità che spinge gli italiani a fare le vacanze vicino a casa o comunque nel nostro Paese. Nel male perchè le città d’arte – da Venezia a Firenze e a Roma – piangono perchè la scomparsa del turismo internazionale le sta mettendo in ginocchio. Chissà però che non sia l’occasione per rivedere da cima a fondo un modello di turismo troppo basato sul “mordi e fuggi” e poco sulla qualità e sulla programmazione dei flussi. E’ di questo che parliamo con Franco Iseppi, presidente del Touring Club Italiano dopo una vita trascorsa in Rai di cui divenne anche Direttore generale e in cui visse giorni indimenticabili nella stretta collaborazione con Enzo Biagi. Ecco l’intervista che ha concesso a FIRSTonline
Presidente, in Italia il Ferragosto 2020 e più in generale la stagione estiva dopo il lockdown e in tempi di necessario distanziamento sociale si prospettano per il turismo molto diversi dal passato: pochissimi stranieri in Italia, pochi italiani all’estero, città d’arte semivuote, molto turismo di prossimità. Sarà solo una parentesi dovuta alla pandemia o l’occasione per ripensare il modo di fare turismo in Italia?
«Quanto è avvenuto da febbraio di quest’anno nel nostro Paese e in gran parte del globo è stato paragonato a una terza guerra mondiale per i suoi effetti sulla mortalità, sull’economia, sull’educazione, nelle situazioni individuali e collettive. La stagione estiva (che ha nel Ferragosto il suo epicentro simbolico), peraltro non immune in questi ultimi decenni da significativi sconvolgimenti materiali e immateriali, ha avuto tradizionalmente nelle vacanze e nei viaggi i suoi elementi distintivi. E’ stata finora generalmente vissuta come una pausa di relax nella vita personale e di gruppo in attesa del ritorno alla normalità. Quest’anno viene considerata come uno spartiacque tra un prima e un dopo pandemia, consapevoli che non si può escludere, in forme diverse e più controllabili, un suo ritorno. Bastano i preoccupanti andamenti previsti per il Pil, l’occupazione, la progressione delle diseguaglianze sociali per affermare che c’è bisogno di una ripartenza, se vogliamo dare retta agli ottimisti, o di una vera e propria rigenerazione del nostro tessuto economico, culturale e sociale, se vogliamo schierarci con i pragmatici e gli innovatori. Non vogliamo riproporre le numerose e diverse previsioni (accomunate da un preoccupante pessimismo), anche perché tra un mese sapremo come sono andate veramente le cose, riscontrando meglio l’asimmetria territoriale che caratterizza la nostra offerta turistica. Ci pare invece doveroso ricordare come molto condiviso da tutti gli operatori, le istituzioni, gli osservatori e le associazioni che operano nel settore sia stato il considerare il turismo di prossimità come l’ancoraggio più facile e motivato al quale riferirsi nel tentativo di frenare una stagione prevedibilmente disastrosa. Una scelta sorretta da elementi significativi. Il turismo non è delocalizzabile e il contesto nel quale si esprime l’offerta turistica sono i territori, nella pluralità delle loro espressioni (beni culturali, beni enogastronomici, eventi, industria creativa). Il forte senso di appartenenza a una unità plurale è il modo peculiare con il quale finora si è storicamente formata l’Italia come nazione. Per tornare ai territori, ci sono aree nel nostro Paese, come l’Appennino, sostanzialmente ignorate nella pratica turistica, definite anche come “serbatoio dell’anima contadina”, distintive per le loro memorie devozionali e di vita comunitaria, oltre che qualificate da rilevanti iniziative imprenditoriali. C’è inoltre, oltre alla crescente attrazione verso il green e il paesaggio, un recupero della pratica della villeggiatura, dei progetti di valorizzazione dei borghi, unitamente a disegni ambiziosi finalizzati a superare le dicotomie Nord-Sud, pianura-montagna, spiaggia-zone interne, nonché a fare dei cammini, delle gloriose e storiche vie di comunicazione e dei fiumi dei veri e propri prodotti turistici. Il fatto che esistano alternative veramente competitive in un Paese concordemente tra i più attrattivi al mondo non significa né pensare che una nuova potenziale offerta possa rappresentare un’alternativa a quella tradizionale, (le città d’arte pagheranno un costo elevato, il turismo lacustre aumenterà, la montagna potrà essere più competitiva) né credere che ce la faremo da soli. Quando più della metà dell’offerta turistica in Italia proviene dall’Europa è da insensati pensare ad una prospettiva autarchica».
È da anni che soprattutto per le città d’arte – da Venezia a Firenze e Roma – si evidenziano i limiti del turismo di massa e del turismo mordi e fuggi e si invoca l’avvio di un turismo più sobrio e di maggior qualità: può essere l’occasione per cominciare?
«Negare che la storia del turismo italiano sia legata ai beni culturali, che continuano a costituirne l’asse portante, è un’inutile provocazione. Constatare, invece, che le ragioni della mobilità turistica stanno allargandosi alla eredità culturale – intesa come universo nel quale accanto ai beni culturali trovano spazio i beni enogastronomici, l’industria creativa, i festival, le feste di tradizione – è un dato di fatto che semmai accentua le possibilità che alcune città storiche debbano misurarsi con l’overtourism, che è anche all’origine di iniziative di alcune notissime città europee, che si sono alleate per contrastare tale tendenza. Non può però essere definita pratica turistica il fatto che a Civitavecchia una nave scarichi una massa di croceristi che con un pullman raggiungono il Colosseo per fotografarlo e per una “toccata e fuga” in attesa di trasferirsi sull’Appia per gustare la cucina di tradizione e per poi tornare sulla nave, già pronta a ripartire per il viaggio stabilito. Dire che l’overtourism non è contrastabile in un Paese che è uscito dalla pandemia è semplicemente un insulto alla ragione. Probabilmente va preso atto che in alcuni casi si tratta solo di battaglie virtuali. Certamente è un problema non facilmente risolvibile nel breve. Non si potranno ignorare le specificità, ma affrontare il problema solo con nuove regole di governo delle diverse realtà è riduttivo. Come sta avvenendo in molti casi, pur valorizzando il patrimonio culturale come il loro business centrale, l’interesse delle città d’arte dovrà allargarsi ad altri beni (coerentemente con quanto sta avvenendo nella domanda di mobilità) che attengono all’universo più grande dell’eredità culturale che qualifica i territori sui quali operano le diverse comunità. Ragionare in termini di destinazioni, con una pluralità di offerte, all’interno delle quali le città d’arte assumano un valore altamente qualificante per la loro attrattività, è diventata una pratica sempre più diffusa nel mondo dei viaggi e delle vacanze. Il binomio città d’arte-territori assume il valore di un must vincente per un Paese come l’Italia, considerato contemporaneamente un museo diffuso e un insieme di territori di ineguagliabile distintività per tutti quei beni che sono all’origine della mobilità. Si tratta di una prospettiva (in parte già in essere) da considerarsi in termini di sostenibilità complessiva, d’intesa tra gli operatori turistici e gli amministratori locali, attraverso una programmazione di flussi, ma più che altro con una condivisione delle finalità, non impossibili da praticare culturalmente, socialmente ed economicamente.
Il Touring Club Italiano ha qualche idea in proposito e qualche suggerimento per gestire la transizione da un turismo mordi e fuggi a un turismo sostenibile e di qualità che sia in grado di meglio valorizzare l’ambiente e le bellezze italiane?
«La nostra associazione privata e senza fini di lucro appartiene all’universo del non profit. Ha costruito la sua storia su tre asset: essere produttore di conoscenza (guide, carte, pubblicistica); essere servitore civile dei viaggiatori e delle istituzioni; essere punto di riferimento morale del turismo. Questa è la sua storia. L’insieme di questi tre asset ha motivato la nostra scelta, operata in modo esplicito negli ultimi dieci anni, di non limitarsi a essere un attore del turismo, ma di affermarsi come protagonista del sistema Italia per far sì che il nostro Paese, attraverso il turismo, possa essere sempre più conosciuto, attrattivo, competitivo e accogliente. Questa funzione si è arricchita negli ultimi due anni di una missione specifica: prendersi cura dell’Italia bene comune, puntando sulla storia e sulla bellezza del nostro Paese con tratti fortemente identitari dello stesso da considerarsi come elementi fondanti attraverso i quali vogliamo essere percepiti nel mondo. La valorizzazione del nostro Paese (continuiamo a parlare di storia e bellezza) è la qualità costante di ogni nostra attività ed è all’origine di ogni nostro progetto. Direttamente riconducibile alla sua storia e alla sua bellezza è il disegno di articolazione territoriale che ci stiamo dando come Associazione, convinti (siamo in molti a crederlo), che partendo dai territori (definiti nella loro funzione di integratori dell’offerta turistica) e non dai confini amministrativi che li delimitano, si può affermare un modello territoriale di governo del turismo altamente competitivo».
In qualche occasione Lei ha parlato di etica del turismo: che cosa intende esattamente e che cosa significa per il nostro Paese?
«L’intuizione felice e assolutamente lungimirante dei nostri fondatori è stata che il turismo potesse rendere le persone migliori. Quando viaggiamo, le nostre menti si aprono. Impariamo attraverso altre persone, culture, idee e luoghi. I viaggi possono offrire una nuova prospettiva che sfida gli individui a pensare in modo diverso e a modificare non solo gli atteggiamenti, ma anche i comportamenti. Il turismo può apportare non solo vantaggi economici, ma anche capitale intellettuale, sociale e ancor più simbolico ai residenti di ogni destinazione. Le immagini e le cronache di sovraffollamento e della mancanza di equità, quelle che gli addetti ai lavori chiamano overtourism e sfruttamento, amplificate dai mezzi d’informazione, hanno contribuito a promuovere una riflessione sui nostri problemi legati alla sostenibilità dei flussi dei viaggiatori e agli impatti sui luoghi visitati e sui loro abitanti. Nel turismo ormai l’etica è una questione centrale per il suo sviluppo futuro, visto che nel pianeta si muovono 1,4 miliardi di individui da una parte all’altra. Si tratta di un sentire comune che, seppure in modo diverso e con gradi di percezione differenti, è ormai diffuso sia tra gli operatori che nell’opinione pubblica, soprattutto in quella più giovane, che esprime in modo sempre più consistente la disponibilità a essere coinvolta da grande protagonista nei processi di cambiamento. I richiami sempre più rivolti a un turismo sostenibile e sempre più responsabile, nel convincimento che sia l’offerta (attraverso la ridefinizione del processo di produzione) sia la domanda (che dovrebbe rendersi più consapevole rispetto agli impatti derivanti dal comportamento turistico) devono agire perché s’intraprenda una nuova pratica nel modo di viaggiare e nel fare le vacanze. Non è che, a questo proposito, manchino documenti internazionali condivisi (Carta di Lanzarote per un turismo sostenibile, Codice mondiale di etica del turismo, Agenda 2030). Non c’è mai stata invece una vera volontà di tradurli in pratica».
Non crede che, senza dimenticare la particolarità del settore, per il turismo italiano occorrerebbe – come avviene in altri Paesi europei – ma anche una vera propria politica industriale per il turismo che sappia unire arte, ambiente, cultura ma anche gestione imprenditoriale delle risorse con l’occhio soprattutto ai trasporti, alla struttura alberghiera e alla ristorazione?
«Non dimentichiamo che il turismo è per definizione trasversale, ovvero è costituito da ricettività in primis, trasporti e intermediazione e ha ricadute significative sui servizi culturali e sul commercio in generale. Per 100 euro spesi dai turisti italiani o stranieri nel nostro Paese, oltre un terzo va al settore ricettività, 13 euro a quello della ristorazione, 12 al commercio (inteso come shopping), 7 a quello del trasporto aereo interno al nostro Paese, circa 6 a quello degli altri mezzi di trasporto (ferroviario, marittimo, stradale), 4 a quello dell’intermediazione (agenzie di viaggio e tour operator), 3 ai servizi culturali, sportivi e ricreativi; 20 euro infine vanno ad altri servizi non compresi fra quelli principali e più significativi (assicurazioni, spese per articoli generici o servizi personali). Questa è una fotografia ufficiale dello scorso anno, ma va ricordato che non si conta quello che non viene rilevato e che oggi è importantissimo, soprattutto nel settore ricettivo, grazie alla diffusione delle piattaforme digitali che si aggiungono allo storico dato delle locazioni estive.
Studi effettuati negli scorsi decenni avevamo definito a livello Italia un moltiplicatore pari a 3 per arrivare a quantificare, partendo da quelli ufficiali per arrivare a quelli reali, questi dati, ovviamente non strettamente indicativi della valenza economica, sociale e culturale del comparto nel nostro Paese sono sufficienti per il ruolo e il peso del turismo sul nostro futuro e ci permettono di prendere atto del perché il turismo di fatto è la ricaduta di un rapporto virtuoso tra le diverse componenti delle attività essenziali e inessenziali che lo caratterizzano: trasporti, istruzione, formazione, economia, ricerca, sanità, relazioni nazionali e internazionali. Ed è per questo che il frutto di una progettualità che nasce da una visione condivisa e aperta è la sua prima necessità, accanto a quella pur rilevante del “rimediare” ai danni enormi causati dalla pandemia. Anche per il turismo che può contare su un progetto di sostenibilità è il frutto di un lavoro di anni, ci sono i presupposti conoscitivi (tutto quello che si è prodotto sul tema anche solo in questi mesi è di grande rilievo). Non cambiano invece le condizioni (o, se ci sono, sono carsiche) per operare in funzione di una visione condivisa (che non esclude la necessità di riqualificare l’attuale modello di governance del turismo stesso) per un comparto, come il turismo, nel quale, almeno nella concezione del Touring, le finalità economiche e quelle culturali si contaminano fino a diventare convergenze parallele».
Lei è uomo di comunicazione e di tv dove in effetti le trasmissioni – anche di qualità – sulle bellezze italiane e sul turismo sono in aumento, ma non crede che per valorizzare il nostro turismo si debba giocare di più la carta della digitalizzazione?
«Non si possono ignorare le crescenti attenzioni non solo della tv ma anche di tutta la comunicazione verso il turismo e in generale sulle tematiche del viaggio, del paesaggio, dell’ambiente, dei territori, ed è innegabile che i media, in questo caso sia quelli più tradizionali che quelli più innovativi, abbiano svolto un ruolo determinante nel far crescere la cultura del turismo. Da un punto di vista operativo la pratica turistica (documentarsi, scegliere, prenotarsi, commentare) non può fare a meno delle nuove tecnologie di informazione e di consumo. È una sfida che ha affrontato anche la nostra Associazione e che oggi si qualifica come creativa, tecnologica, verde e territoriale. La tecnologia ha permesso di affrontare la pandemia in un modo meno traumatico, come si è visto nelle nuove pratiche di relazione, nella formazione, nell’educazione e nel lavoro. Da qui il suo crescente peso nella nostra quotidianità, fino a essere invasiva».
Per Ferragosto e per l’estate il Touring Club Italiano ha in serbo qualche iniziativa speciale?
«A fronte del momento di difficoltà che il Paese sta attraversando, abbiamo deciso di lanciare una campagna per promuovere il territorio italiano e le sue bellezze. Un invito doppio a “viaggiare da casa” per poi scoprire e riscoprire fin da questa estate ciò che ha da offrire il nostro Paese, consapevoli che in questa congiuntura la destinazione Italia sarà scelta soprattutto dagli italiani. Con l’hashtag #passioneItalia si va alla scoperta di luoghi, paesaggi e itinerari: dalle città d’arte alle coste, dalle montagne ai borghi, che mai come ora hanno bisogno di andare oltre il racconto di cronaca. Chiavi della narrazione sono le Guide Verdi Touring, gli approfondimenti preparati dai nostri giornalisti, le cartografie dell’archivio storico e molti altri contenuti del grande bagaglio di viaggio del Tci, tutti elementi ispirati a un turismo sostenibile non solo sul piano ambientale ma anche su quello socioeconomico. Il progetto ha l’obiettivo di restituire il domani del Paese ai nostri cittadini, sicuri che questo compito ora spetti alla comunità e a chi si occupa di prendersi cura dell’Italia come bene comune da 125 anni. Un consiglio per Ferragosto e dintorni: prendete la bicicletta e una buona macchina fotografica, impossessatevi dei territori che praticate come se doveste farli conoscere nei loro estremi connotativi e civili tramite #passioneItalia del Touring Club Italiano».