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Irlanda del Nord: la Brexit rimette a rischio pace e stabilità

Dal sito affarinternazionali.it – L’uscita dall’Unione europea per la Brexit minaccia di rinfocolare le divisioni nella popolazione dell’Irlanda del Nord che nel referendum si era espressa per restare nella Ue – Il problema della frontiera e le sue conseguenze.

Irlanda del Nord: la Brexit rimette a rischio pace e stabilità

Il processo di pace in Irlanda del Nord ha indubbiamente avuto grandi successi, ma non mancano ostacoli sulla via della stabilità, con la Brexit all’orizzonte che potrebbe ulteriormente complicare le cose.

Nonostante i progressi che hanno fatto seguito all’Accordo di pace del Venerdì Santo 1998 (una riconciliazione simboleggiata nel 2011 dalla stretta di mano fra la regina Elisabetta e Martin McGuinness, ex combattente dell’Ira poi divenuto vicepremier a Belfast), il futuro della piccola nazione del Regno Unito appare ancora nebuloso.

La mancanza di un governo a Belfast rappresenta senza dubbio uno degli ostacoli principali. L’Accordo del Venerdì Santo prevede che l’Irlanda del Nord sia governata da un’amministrazione decentrata guidata da un premier e un vicepremier espressione ciascuno dei maggiori partiti unionista e nazionalista. Pur essendo la condivisione del potere fra chi vuole mantenere l’Irlanda del Nord sotto la Union Jack e chi sogna una riunificazione con Dublino al centro dell’intesa di pace, da gennaio ad oggi Belfast non ha un esecutivo.

Torna la violenza?

I negoziati tra lo Sinn Féin (il più grande partito nazionalista) e il Partito unionista democratico (Dup, la maggiore forza unionista) hanno ripetutamente fallito nel tentativo di formare un governo di coalizione, dopo che alle elezioni dello scorso marzo i primi hanno ridotto a un seggio la distanza dai secondi nel Parlamento nordirlandese. L’imposizione del dominio diretto – con cui il governo britannico prenderebbe il controllo delle questioni abitualmente devolute all’esecutivo dell’Irlanda del Nord – continua a incombere. Il dominio diretto avrebbe implicazioni dannose per la rappresentanza politica dell’Irlanda del Nord: i parlamentari eletti con lo Sinn Féin, infatti, per tradizione non occupano i loro seggi a Westminster, rifiutandosi di giurare fedeltà alla regina (requisito essenziale per insediarsi), come atto di protesta rispetto alla giurisdizione britannica sull’Ulster.

Neppure la violenza settaria ha cessato di esistere nello stato nordirlandese, come provano le cronache degli ultimi mesi. A settembre, paramilitari lealisti sono stati accusati di intimidire delle famiglie cattoliche, costrette a lasciare le loro case a Belfast. A ottobre, invece, tre famiglie di Derry sono state evacuate mentre la polizia disinnescava due ordigni rudimentali vicino alle loro abitazione; e pochi giorni dopo una bomba artigianale veniva scoperta in una zona residenziale ad ovest della capitale, la responsabilità della quale è stata rivendicata da un nuovo gruppo dissidente repubblicano.

In un articolo pubblicato qualche mese fa sul Guardian, Matthew Engel scriveva che l’Ulster “ha avuto due decenni di ciò che gli estranei chiamano pace”. Non solo in Irlanda del Nord, ma anche in Gran Bretagna e nella Repubblica d’Irlanda si usa il passato per riferirsi al processo di pace nordirlandese. Un linguaggio che rischia di minare un processo di peace-building che è ancora in corso.

Le colpe dell’Accordo del Venerdì Santo

Inaspettatamente, il percorso verso la pace sembra essere stato in un certo modo ostacolato dalla struttura stessa dell’Accordo del Venerdì Santo. L’intesa ha infatti istituzionalizzato la divisione fra nazionalisti e unionisti sia socialmente sia politicamente. “Unionisti e nazionalisti ora lavorano e vivono forse più separatamente di quanto facessero in passato”, dice Eoin O’Malley della Dublin City University. Sebbene siano adesso in discussione piani per rimuoverli, i cosiddetti “muri di pace” che furono eretti per la prima volta nel 1969 per prevenire le violenze, continuano oggi a separare aree prevalentemente nazionaliste da quelle prevalentemente unioniste.

La fiducia inter-comunitaria, essenziale per la pace, ha sofferto a causa di tale divisione. Una diffidenza che ha contribuito alla caduta del governo, nel gennaio scorso, quando la premier e leader degli unionisti del Dup Arlene Foster è stata implicata in uno scandalo sullo schema di incentivi per l’uso di energie rinnovabili, che secondo alcune critiche avrebbe beneficiato in maniera sproporzionata gli unionisti. La sfiducia permane ancora oggi, e – nonostante le elezioni di marzo in Irlanda del Nord – continua a impedire ai negoziati fra Dup e Sinn Féin di produrre un governo.

Uscita dall’Ue e ritorno della frontiera

La Brexit minaccia di esacerbare questa divisione intestina alla popolazione nordirlandese. Sebbene l’Irlanda del Nord abbia votato “Remain” al 56% nel referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, Belfast dovrà uscire in blocco insieme alla Gran Bretagna dall’Ue. La ‘hard’ Brexit senza un accordo, con l’uscita dall’unione doganale, esigerà dei posti di blocco alla frontiera con l’Ue, cioè, nell’isola, con la Repubblica d’Irlanda. Un’opzione contro cui si sono già schierati i nazionalisti nordirlandesi.

Una possibile alternativa per mantenere la frontiera “invisibile” che esiste attualmente fra le due entità politiche irlandesi è la creazione di una frontiera fra l’Ue e il Regno Unito nel Mare d’Irlanda (che separa l’isola d’Irlanda e la Gran Bretagna): ciò consentirebbe all’Irlanda del Nord di rimanere nell’unione doganale con una sorta di status speciale. Gli unionisti sono tuttavia decisamente contrari a una soluzione che finisca per separare l’Ulster dal resto del Regno Unito: il Dup – che oggi è di indispensabile sostegno alla maggioranza di Theresa May a Westminster – ha fatto campagna per la Brexit e si opporrà qualunque divisione fra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna.

A Londra vorrebbero affrontare la questione della frontiera irlandese in un secondo momento, come parte dell’accordo con l’Ue sui futuri rapporti commerciali; posizione che non trova d’accordo i leader dei 27 e la stessa Irlanda, che in occasione del Consiglio europeo del 15 dicembre che dovrà valutare i progressi dei negoziati sulla Brexit potrebbe mettersi di traverso e porre il veto alla continuazione delle trattative.

Dall’indomani della vittoria del “Leave”, parlamentari, politici e accademici sia nel Regno Unito che nel resto dell’Europa sono stati alla ricerca di soluzioni “creative e flessibili” per evitare del tutto una frontiera fisica nel cuore dell’isola d’Irlanda. Tuttavia, se il Regno Unito esce dall’unione doganale, non ci sarà altra soluzione che ripristinare la frontiera, sia essa a terra o in mare. Ovunque essa venga collocata la linea di confine, questa comporterà comunque delle ripercussioni serie e potenzialmente dannose per la pace in Irlanda del Nord.

Da settimane si susseguono degli appelli per coinvolgere un mediatore esterno nei colloqui tra lo Sinn Féin e il Dup. Ma se è vero che la mediazione ha il potenziale per risolvere lo stallo politico a breve termine contribuendo alla formazione di un governo, una strategia a lungo termine che costruisca la fiducia e incoraggi la riconciliazione è essenziale per creare una pace sostenibile nell’Irlanda del Nord.

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