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Iran, il riformista Pezeshkian vince e sarà il nuovo presidente: “Tenderò la mano a tutti”. Occidente, nucleare e rivolta delle donne: cosa farà?

Wikimedia Commons Di Mehr News Agency, CC BY 4.0,

Muro contro i conservatori in Iran. Il deputato riformista ed ex ministro della Sanità, Massoud Pezeshkian, ha vinto il ballottaggio delle 14esime elezioni presidenziali e diventerà il nono leader della Repubblica islamica. Il quartier generale delle elezioni statali iraniane, infatti, rende noto che Pezeshkian ha ottenuto 16,3 milioni voti contro i 13,5 del suo rivale ultraconservatore Saeed Jalili, espressi in un totale di circa 58mila seggi in Iran e 314 seggi in oltre 100 Paesi stranieri: uno scarto tra i due di oltre 2 milioni di preferenze a scapito del candidato intransigente. Quanto all’affluenza, al secondo turno presidenziale hanno partecipato circa 30,5 milioni di elettori (pari al 49,8%) dei 61,4 aventi diritto, aggiungono le autorità iraniane: un dato in lieve rialzo rispetto al primo turno quando è stata registrata la partecipazione più bassa di sempre (33% a Teheran, meno del 40% nell’intero Paese).

Iran, il peso geopolitico tra Gaza, nodo nucleare e voto Usa

I risultati definitivi, tuttavia, sono attesi nel corso della giornata di oggi. Nel frattempo, i sostenitori del cardiochirurgo e deputato di lunga data sono già scesi nelle strade di Teheran e di altre città dell’Iran prima dell’alba per festeggiare mentre il suo vantaggio cresceva su Jalili, ex negoziatore nucleare dalla linea dura. Si tratta di una vittoria che arriva mentre l’Iran, uno dei pesi massimi del Medio Oriente, vive ancora un momento particolarmente delicato: da un lato non si attenuano le alte tensioni causate dalla guerra Israele-Hamas nella Striscia di Gaza, dall’altro spiccano l’avanzata del programma nucleare iraniano e le imminenti elezioni americane che potrebbero mettere fine a qualsiasi possibilità di distensione tra Teheran e Washington.

Iran, come si comporterà Pezeshkian?

Pezeshkian invoca un Iran più aperto all’Occidente. Jalili, viceversa, è noto per le sue posizioni inflessibili contro le potenze occidentali. Pezeshkian, 69 anni, ha ricevuto il sostegno degli ex presidenti, il riformista Mohammad Khatami e il moderato Hassan Rouhani. Il suo rivale, 58 anni, gode in particolare del sostegno di Mohammad-Bagher Ghalibaf, il presidente conservatore del Parlamento, arrivato terzo con il 13,8% dei voti al primo turno.

Le elezioni, organizzate frettolosamente dopo la morte del presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi avvenuta in un incidente in elicottero il 19 maggio, si sono svolte in un contesto di malcontento popolare, in particolare per la situazione economica colpita dalle sanzioni internazionali.

Iran, le prime parole di Pezeshkian dopo il ballottaggio

Il presidente riformista Pezeshkian ha detto che “tenderà la mano dell’amicizia a tutti” nel suo primo discorso da quando è stato dichiarato vincitore del ballottaggio contro l’intransigente Jalili. “Tenderemo la mano dell’amicizia a tutti; siamo tutti popolo di questo Paese”, ha detto Pezeshkian alla televisione di Stato.

Pezeshkian, chi è il nuovo presidente dell’Iran

Medico di origine azera, quasi sconosciuto prima della sua candidatura, Pezeshkian ha cresciuto tre figli da solo dopo la morte della moglie in un incidente. Parlamentare da due decenni, si è espresso apertamente contro la mancanza di trasparenza del governo durante le proteste a livello nazionale innescate dalla morte della giovane curda Mahsa Amini nel settembre 2022.

Esperto cardiochirurgo, è stato ministro della Sanità sotto l’ex presidente riformista Mohammad Khatami (1997-2005). Inoltre, è stato esplicito nel criticare il governo sulla questione dell’hijab obbligatorio, ma non è mai arrivato a chiedere l’abrogazione dell’obbligo del velo per le donne. Tuttavia, il fatto che il tema dell’hijab sia stato al centro della campagna elettorale è comunque il segno del peso crescente della rivolta delle donne.

Il nuovo presidente è un sostenitore dell’accordo sul programma nucleare iraniano (Jcpoa) e ha promesso di migliorare le relazioni con gli Stati Uniti, accusando i suoi rivali conservatori di aver rovinato l’economia, non facendo abbastanza per rilanciare il Jcpoa, da cui gli Usa di Trump si ritirarono unilateralmente nel 2018, ma che aveva portato alla revoca di alcune sanzioni. Quanto al sostegno, oltre che da Khatami (che nelle parlamentari di marzo si era invece astenuto), il riformista ha avuto anche l’appoggio dell’ex ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif. Pur condannando l’amministrazione del presidente defunto Ebrahim Raisi in quanto incapace di risolvere i problemi del Paese, non è mai arrivato a criticare apertamente la Guida Suprema, Ali Khamenei. Ha anche sostenuto i principi fondamentali del regime, secondo cui gli Stati Uniti sono la causa principale delle tensioni nella regione.

Photo Credit: Di Mehr News Agency, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

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