Con i tassi d’interesse così bassi, la tentazione di spingersi oltre ogni ragionevole orizzonte temporale può essere forte. Anche perché, da qualche anno a questa parte, il numero di obbligazioni governative a lunghissimo termine è decisamente aumentato: i governi stanno approfittando del basso costo del debito (leggasi: bassi tassi d’interesse) e stanno allungando la duration del debito pubblico. E guardate che parliamo di scadenze da highlander, anche superiori ai cinquant’anni.
Benché siano nate soprattutto per soddisfare i bisogni di investitori istituzionali come le assicurazioni e i fondi pensione, queste obbligazioni attirano spesso l’attenzione del risparmiatore, per via dei loro rendimenti a scadenza relativamente attraenti rispetto a quelli di altri titoli di Stato. Tuttavia, per evitare decisioni delle quali amaramente pentirsi in seguito, è bene avere un quadro chiaro della reale natura di questo tipo di investimento.
Dove nasce il rendimento obbligazionario?
Apriamo la black-box del rendimento a scadenza di un’obbligazione. Che cosa troviamo all’interno?
Il rendimento di un bond (governativo e non) può essere approssimativamente scomposto nei seguenti fattori:
- le attese sull’inflazione futura perché chi compra il bond non vuole che il guadagno sia eroso dall’inflazione;
- il rendimento reale atteso che compensa l’obbligazionista per l’indisponibilità del denaro;
- il premio al rischio di default che remunera chi acquista l’obbligazione per il rischio di non vedersi restituito il denaro;
- l’incertezza relativa alla stima delle precedenti grandezze (per comodità parleremo di “margine d’errore”, verosimilmente piccolo).
Questa è la teoria. E poi c’è la pratica, cioè il mercato.
Possiamo scoprire come si scompone un rendimento a lungo termine. Infatti, i fattori principali che determinano il rendimento di un’obbligazione sono stimabili con buona approssimazione ricavando le informazioni dal mercato dei derivati. Per stimare l’inflazione attesa abbiamo utilizzato le stime implicite negli Inflation Swap (derivati sull’inflazione), mentre il premio al rischio di default si ottiene dalle quotazioni dei CDS(per esteso: Credit Default Swap, cioè derivati che assicurano contro il rischio di default). Poi, con un’ardita sottrazione si ottiene il rendimento reale (tenendo conto anche del margine d’errore).
La scomposizione in fattori del rendimento dei titoli a più lungo termine dei principali mercati europei può essere sorprendente:
Pensateci.
Il tasso d’interesse reale
Andiamo alla radice dell’idea di tasso d’interesse reale: il rendimento reale è ciò che il risparmiatore dovrebbe ottenere “in cambio” della privazione del denaro con cui potrebbe acquistare beni o servizi. Perciò, se il rendimento reale è negativo, significa che non si desidera essere remunerati per questa privazione, ma anzi si è disposti a pagare per rinunciare al denaro (!!!).
In altri termini, un rendimento reale negativo implica che, se pensate a un bene o a un servizio, preferite goderne in futuro anziché oggi. E quando pensate ad una data futura, vi rendete conto di preferire una data ancora più in là nel tempo. E così via, all’infinito.
Secondo voi ha senso? Rispondetevi da soli.
Ora forse il quadro è più chiaro, ma dobbiamo ancora parlare dei rischi.
I rischi
Chi investe in obbligazioni di questo tipo affronta due tipi di rischio:
- il rischio di oscillazione del prezzo durante la vita del titolo, anche chiamato rischio duration;
- il rischio di default, legato all’eventualità che l’emittente non sia in grado di ripagare il debito.
Rischio duration
A fronte di un rendimento reale nullo, il rischio di subire forti oscillazioni di prezzo c’è e può avere un forte impatto.
Rischio default
Con uno sforzo di concretezza possiamo dirci piuttosto certi che da qui ad un anno i governi siano in grado di rimborsare il nostro credito con discreta probabilità (chi più, chi meno). Ma, estendendo l’orizzonte temporale a cinquanta o cento anni, cioè l’intero ciclo di vita di queste obbligazioni, siamo ancora pronti a mettere la mano sul fuoco sull’improbabilità di default dello Stato?
Il rischio di default in Italia
Per l’Italia i dati sono tra l’allarmante e il ridicolo: la probabilità di default del 5,5% a un anno (altissima, secondo noi, troppo) si gonfia fino a superare il 90% in mezzo secolo. Ma prendete anche la tranquilla Austria: la probabilità di default lungo l’arco di vita dell’obbligazione è del 34,4%. Ora, se sapeste che la probabilità di essere mangiati da una tigre è 34,4%, fareste una passeggiata nella giungla?
E questo è il vero punto: pensateci attentamente prima di acquistare simili obbligazioni. Sperando sia palese come non basti guardare al livello del rendimento a scadenza per decidere se l’obbligazione è appetibile oppure no: dietro il rendimento c’è una complessità che non può essere sottovalutata, in particolare i rischi che determinano quel rendimento così appetibile.
FONTE: Advise Only