La storia dei mercati finanziari è costellata di sogni di ricchezza infranti e di risparmi andati in fumo. Come nel caso del titolo del grafico (Epistar Corporation, un’azienda di Taiwan che produce semiconduttori), la Borsa pullula di azioni che hanno raggiunto livelli da capogiro in tempi record… per poi schiantarsi successivamente, per i motivi più disparati. Il punto è che capita spesso.
Si potrebbe frettolosamente concludere che è meglio evitare di investire in singole azioni e prediligere invece l’investimento in intere categorie di attivi finanziari, o asset class (ad esempio azioni USA, azioni Asia, azioni tecnologiche, e così via), di solito mediante ETF o fondi comuni d’investimento, combinandole in portafogli grazie all’asset allocation.
Sarebbe una risposta superficiale. Infatti, molti tra gli investitori di maggior successo al mondo, ad esempio il leggendario Warren Buffet, devono fortuna e fama alla scelta oculata di un numero ristretto di titoli, effettuata tramite il cosiddetto stock picking.
Perciò la domanda è d’obbligo: come conviene investire? tock picking o asset allocation?
IL LUOGO COMUNE
“Quando si investe, puntare su poche, buone azioni è la cosa migliore”
L’EVIDENZA: LE AZIONI CON UN BUON RENDIMENTO SONO ASSAI MENO DI QUANTO SI POSSA IMMAGINARE
Nel lungo termine, i mercati azionari tendono ad essere più remunerativi dei mercati obbligazionari: offrono il cosiddetto premio al rischio azionario, o equity risk premium. La ricerca scientifica ha documentato l’argomento in lungo e in largo e, ad oggi, non ci sono molti dubbi a riguardo. Quello che si dimentica spesso è che la performance dei mercati azionari dipende da pochi (a volte pochissimi) titoli.
I mercati azionari sono fortemente polarizzati. Secondo la ricerca condotta da Hendrik Bessembinder[1], la ricchezza finanziaria generata dal 1925 ad oggi dal più vasto e rappresentativo mercato azionario al mondo – quello statunitense – è da attribuire al 4% delle azioni con le migliori performance. Inoltre, circa il 50% della ricchezza finanziaria creata in oltre 80 anni di Borsa dipende dalla performance di 86 titoli (un numero che corrisponde a meno dell’1% dell’universo investibile). Il grafico di questa sezione mostra appunto come, ordinando i titoli secondo la loro performance, pochissimi di essi bastino a spiegare il 100% della performance storica della Borsa USA, molti non aggiungano alcun valore, e molti addirittura distruggano valore (infatti, curiosamente, la curva supera il 120%, per poi ripiegare verso 100%).
Focalizzando l’attenzione sull’intera vita dei titoli azionari presi in esame nella ricerca (quasi 26mila titoli!), solo il 42,1% di essi è riuscito a produrre un rendimento superiore a quello di un titolo obbligazionario pressoché privo di rischio (vale a dire un titolo di Stato USA a 1 mese, il Treasury Bill). Oltre metà dei titoli azionari ha prodotto un rendimento negativo.
Ma non finisce qui. Nella ricerca vengono confrontate una pura strategia di stock picking e una strategia di replica passiva di un indice di Borsa. I risultati sono impietosi:
1) nel 99% dei casi la strategia di stock picking fa peggio della replica passiva;
2) solo nel 28% dei casi la strategia di stock picking riesce ad offrire un rendimento superiore al titolo di Stato a 1 mese.
Quindi, per quanto sia difficile da mandare giù, fatti e numeri ci dicono che la performance di un intero mercato dipende da pochi titoli. Di conseguenza un portafoglio molto concentrato in poche azioni aumenta enormemente il rischio di non avere in portafoglio quelle che veramente creano valore. Ciò spiega anche perché molte strategie attive basate sullo stock picking tendono a ottenere performance inferiori agli indici di mercato (benchmark), mostrando quindi “alfa” gestionale negativa.
LA VERITÀ: SONO IN POCHI A BECCARE I TITOLI GIUSTI
Torniamo allo stock picking: si tratta, in fin dei conti, di trovare i titoli giusti, roba da professionisti, no?
Più o meno. Il problema è che anche i professionisti della gestione incontrano enormi difficoltà nel fare scelte corrette. I numeri prodotti semestralmente da S&P Dow Jones, che monitora i gestori dei principali mercati con le SPIVA Scorecard, sono tra lo stupefacente e il deprimente: il 91,9% dei gestori USA negli ultimi 5 anni non è riuscito a battere l’indice S&P 500, mentre nello stesso periodo il 79,9% dei gestori europei non è riuscito a far meglio dell’indice di Borsa S&P Europe 350 (ndr: cambiando indici o allungando l’orizzonte temporale, le cose non migliorano). Non meraviglia che il mercato degli ETF, prodotti passivi, stia ovunque crescendo in modo esponenziale.
Il messaggio è chiaro: se lo stock picking è difficile per un “pro”, è ragionevolmente improponibile per il risparmiatore medio.
LA SOLUZIONE: INVESTIRE IN MODO DIVERSIFICATO
Ricapitolando, ecco quello che la storia ci insegna:
1) le azioni tendono ad avere un premio al rischio positivo nel lungo termine (dal 1900 al 2015 pari al 4,2% medio annuo per un portafoglio azionario globale, secondo il Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook 2016);
2) una buona fetta di questo rendimento è però da attribuire a pochi, anzi pochissimi titoli, che generano grandi ritorni (uno dei tanti casi di legge di Pareto, o power law);
3) solo una minoranza di gestori è in grado di individuare correttamente le azioni nelle quali vale la pena investire.
Ergo? Meglio investire esponendosi ad ampi aggregati di azioni, cioè ad indici. Statisticamente, più grande è l’aggregato, più forte è l’effetto di diversificazione e dunque più basso il rischio. Il grafico di questa sezione offre un esempio concreto. Mostra infatti il rischio, misurato con il max drawdown[2] , manifestato negli ultimi 20 anni da tre tipologie di investimenti finanziari:
1) un portafoglio di 10 azioni del S&P 500 (il principale indice della Borsa USA), che rappresenta lo stock picking;
2) un portafoglio di 10 settori della Borsa USA, cioè un’asset allocation settoriale all’interno di un Paese, nello specifico gli USA;
3) un portafoglio costituito dagli indici delle principali aree geografiche, cioè USA, Europa, Giappone e UK, cioè una (spartana) country asset allocation globale.
Per ogni tipologia di investimento abbiamo creato 1.000 portafogli casuali e, utilizzando i dati degli ultimi 20 anni (fonte Bloomberg), per ciascuno di essi abbiamo calcolato il max drawdown, cioè la massima perdita verificatasi dal 1997 a oggi. Poi ne abbiamo calcolato la media. Che ci dice, per l’appunto, che è enormemente più rischioso puntare sullo stock picking, il cui max drawdown medio è -81%. Invece l’asset allocation, con la diversificazione dei rischi che porta con sé, riduce enormemente il rischio di disastri. E consente, comunque, di portare a casa il premio al rischio azionario.
Insomma, considerate singolarmente, le azioni (e perciò le imprese) non sono tutte uguali, quindi non tutte remunerano dal rischio assunto. E trovare quelle giuste non è banale. Perciò, a meno di non essere assai fiduciosi nelle vostre capacità di selezione dei singoli titoli azionari – ma le probabilità remano contro di voi – la soluzione è semplice: lasciate lo stock-picking ai professionisti e investite in modo diversificato grazie a ETF e fondi comuni. Sarà sicuramente meno elettrizzante della vita di Gordon Gekko, ma i vostri risparmi verosimilmente ne beneficeranno.
Fonte: AdviseOnly