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Investimenti: la ripresa è cominciata ma ora va sostenuta

Negli anni della crisi l’attività di investimento si è fortemente contratta in tutte le economie avanzate. La flessione è stata minore nelle economie emergenti, dove l’espansione nei primi anni 2000 era stata eccezionalmente sostenuta. I segnali di recupero, se pure diversificati, sono ancora modesti, e la rottura del trend pre-crisi appare ormai netta. Il CSC ha più volte messo a fuoco le principali forze che frenano gli investimenti: alta incertezza e aspettative di basso aumento della domanda, maggiori difficoltà a ottenere finanziamenti, alta capacità produttiva inutilizzata, ristrettezze dei bilanci pubblici e, in Italia, redditività ai minimi storici.

Alcuni di questi vincoli sono comuni a tutte le maggiori economie, altri sono presenti principalmente in quelle che hanno subito un’alta tensione sui debiti sovrani e politiche di bilancio conseguentemente restrittive. In prospettiva, nell’ambito europeo in particolare, le stesse condizioni che hanno contribuito a deprimere le decisioni di investimento sono destinate almeno in parte a persistere: la disponibilità del credito bancario non tornerà alle condizioni pre-crisi (al di là delle politiche monetarie estremamente espansive, che sono a loro volta rivelatrici della fragilità sistemica); lo stesso si può dire, dopo lo scoppio della bolla, per il volano rappresentato dalle costruzioni; e le persistenti esigenze di rientro dei deficit pubblici seguiteranno a imprimere impulsi restrittivi alla domanda e limiteranno le risorse per la spesa pubblica in conto capitale.

Poiché d’altra parte gli investimenti non sono soltanto una componente della domanda aggregata, ma costituiscono anche la principale fonte di incremento della produttività (anche per il loro carattere strategico di potenziamento infrastrutturale), il ritardo accumulato nell’adeguamento della dotazione di beni capitali difficilmente sarà senza conseguenze sul ritmo della crescita futura (e, quindi, sugli stessi investimenti a venire). Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le analisi delle maggiori organizzazioni internazionali sulle ragioni e sulle conseguenze della bassa accumulazione di capitale, con conclusioni preoccupate e convergenti ed esortazioni ai governi a promuovere maggiormente gli investimenti: direttamente, con più spesa in infrastrutture, e indirettamente, con incentivi e agevolazioni.

UNA PREOCCUPAZIONE GENERALE 

I principali organismi di ricerca internazionali hanno dedicato alla questione dei bassi investimenti studi specifici, attirando di volta in volta l’attenzione sul ruolo svolto da variabili diverse. L’FMI identifica la principale determinante della caduta degli investimenti fissi nella debolezza dell’attività economica (effetto acceleratore), a sua volta attribuita ad attese di domanda persistentemente negative. A questo effetto si sommano quelli dovuti ai più stretti vincoli della finanza d’impresa e alla forte incertezza del quadro delle politiche conseguente alla crisi dei debiti sovrani.

La debolezza della domanda è la principale causa della caduta degli investimenti privati anche secondo l’OCSE, che sottolinea come molte economie siano rimaste bloccate in un equilibrio di bassa crescita, bassi investimenti, elevata disoccupazione, salari stagnanti e consumi fermi, e come il livello attuale degli investimenti sia inferiore a quello potenziale in rapporto al PIL. Secondo valutazioni della BEI, una quota molto alta del calo degli investimenti in Europa (53%) è spiegata dall’incertezza riguardo alle politiche economiche, cui si aggiungono i timori di un ulteriore credit crunch conseguente all’elevato volume di sofferenze tuttora in carico al sistema finanziario.

E L’ITALIA? 

Per l’Italia, in cui la ripartenza dell’economia è avviata, ma – coerentemente con l’evoluzione del quadro congiunturale – è ancora piuttosto timida, un’interpretazione in linea con quella proposta dall’FMI è suggerita dalla Banca d’Italia, secondo cui il carattere prolungato della flessione degli investimenti riflette soprattutto la caduta – corrente e attesa – della domanda, cui si sommano tensioni sui finanziamenti e, ancora, l’incertezza. Le stime FMI indicano peraltro nello stesso periodo una dinamica degli investimenti italiani inferiore a quella riconducibile alla caduta della domanda e in parte spiegata da fattori di incertezza e da vincoli finanziari.

Secondo Nomisma, il delinearsi di una vera e propria trappola della liquidità nell’ambito dell’Eurozona vedrebbe l’Italia particolarmente penalizzata da attese di bassa inflazione (poco sopra lo zero nei prossimi 5 anni), inferiori a quelle medie dell’area (intorno all’1%), che potrebbero essere compensate solo da un livello dei tassi di interesse nominali “di pieno impiego” fortemente negativi. Perciò la leva monetaria è inefficace, mentre si assiste a un costante assottigliamento dei flussi di cassa delle imprese e a persistenti effetti di razionamento del credito. In queste condizioni, la ripresa degli investimenti dipende ancora più strettamente da quella della domanda.

Senza un recupero sostenuto della domanda i timori di una nuova ricaduta recessiva seguitano a indurre il rinvio delle decisioni di investimento, innescando un circolo vizioso che intrappola l’economia in una bassa crescita. In questo quadro assume un ruolo potenzialmente più rilevante che in passato la leva rappresentata, in chiave anticiclica, dagli investimenti pubblici. Uno studio svolto nell’ambito della Commissione Europea sottolinea, in realtà, che nell’Eurozona proprio la contrazione degli investimenti pubblici (esito dell’aggiustamento dei conti pubblici perseguito contraendo la spesa in conto capitale a fronte delle difficoltà di compressione di quella corrente) ha condizionato negativamente il processo di accumulazione.

L’effetto appare più grave nelle economie periferiche (Spagna, Italia) maggiormente penalizzate dalle esigenze di rientro dei disavanzi di bilancio. In Italia il taglio degli investimenti pubblici nel corso della seconda recessione nel 2011-14 (a fronte del sostegno esercitato in chiave anticiclica all’inizio della prima nel 2007-09) ha contribuito all’avvitarsi degli investimenti totali fino al 2014. Una spinta agli investimenti nei prossimi trimestri potrebbe provenire in Italia dalla maggiore stabilità politica, segnalata dal graduale ridursi del grado di incertezza, in discesa dal picco raggiunto nel 2012 e inferiore a quello medio delle altre principali economie europee.

Uno stimolo non trascurabile, come già avvenuto in passato in occasione di interventi analoghi, si sta dimostrando essere svolto dagli incentivi agli investimenti in beni strumentali per le imprese di dimensione medio-piccola. Disaggregando la spesa per investimenti in funzione della destinazione si può osservare che – a fronte di una persistente flessione di quelli in costruzioni – gli investimenti in macchinari e attrezzature hanno invertito la direzione di marcia e hanno iniziato a risalire nella seconda metà del 2014. Il loro recupero è destinato proseguire e rafforzarsi, come segnala il profilo degli ordini interni di beni strumentali.

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