La cultura, elemento distintivo e vanto dell’Italia nel mondo, è anche uno straordinario motore di sviluppo economico capace di moltiplicare i benefici delle risorse generate, in stretta relazione con le comunità locali.
Ogni euro prodotto da un museo o da un sito archeologico si traduce infatti in altri due euro di ricchezza per il territorio. L’artigianato artistico insieme alle altre industrie creative ne generano ulteriori 2,1. La produzione di un audiovisivo, di un libro o di una rappresentazione teatrale altri 1,2. Quindi, investire in “cultura” conviene.
Questi dati sono contenuti nel rapporto “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, con la collaborazione e il sostegno dell’Assessorato alla cultura della Regione Marche, ed è stato presentato oggi a Macerata.
Considerando il peso di cultura e creatività nel complesso delle attività economiche italiane, l’indagine individua 4 macro settori: industrie culturali propriamente dette (film, video, massmedia, videogiochi e software, musica, libri e stampa), industrie creative (architettura, comunicazione e branding, artigianato, design e produzione di stile), patrimonio storico-artistico architettonico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), e performing art e arti visive (rappresentazioni artistiche, divertimento, convegni e fiere).
L’effetto moltiplicatore calcolato da Unioncamere e Symbola è massimo nel caso delle industrie creative (2,1). Ciò significa che i 35,9 miliardi euro di valore aggiunto prodotti da queste attività hanno attivato ulteriori 76,8 miliardi di euro di ricchezza sul resto dell’economia. La gestione del patrimonio storico-artistico ha un effetto solo lievemente inferiore (2), ma è comunque in grado di “trasformare” i 3,3 miliardi di euro di valore aggiunto prodotti dal settore in ulteriori 6,6 miliardi di euro. La ricaduta economia delle industrie culturali e delle performing art, infine, è pari a 1,2. I 37,3 miliardi generati dalle industrie culturali, così, producono altri 45,2 miliardi di euro mentre i 4,2 miliardi di Pil prodotti dalle performing art generano altri 4,9 miliardi di euro negli altri settori non culturali.
I settori in cui sono più evidenti le ricadute positive sono, primo tra tutti, il turismo, ma anche il commercio, i trasporti, le attività immobiliari, il marketing o la pubblicità.
In totale, gli 80,8 miliardi di euro di valore aggiunto realizzati da tutti i comparti produttivi che si occupano di “cultura” (inclusa la componente pubblica e quella non profit) nel 2012, sono riusciti ad attivare quasi 133,4 miliardi di euro, arrivando così a costituire una filiera culturale intesa in senso lato di 214,2 miliardi di euro, equivalenti al 15,3% del Pil prodotto dall’intera economia italiana.
A livello territoriale, l’effetto del moltiplicatore complessivo del settore produttivo culturale è massimo nelle due ripartizioni settentrionali (1,8), pari alla media nazionale nel Centro (1,7), inferiore nel Mezzogiorno (1,2).
Il Friuli Venezia-Giulia è la regione che meglio riesce a far “fruttare” il patrimonio culturale di cui dispone: la ricaduta sull’economia locale della produzione di cultura è pari a 2,1. Segue il Veneto (2), quindi pari merito a 1,9 la Toscana, la Lombardia e le Marche. Da segnalare sul fronte opposto i più contenuti effetti del sistema culturale in Sardegna e Calabria (0,9) e nel Molise (1).
“Nel mondo c’è una domanda di qualità che l’Italia sa intercettare – commenta Fabio Renzi, Segretario generale di Symbola – Fondazione per le qualità italiane –. Non a caso quando l’Italia fa l’Italia e scommette su innovazione, ricerca e green economy e le incrocia con bellezza, qualità, legame con i territori, con la forza del made in Italy, è un Paese forte capace di competere sui mercati internazionali”.
“Il sistema produttivo culturale – gli fa eco Claudio Gagliardi, segretario generale di Unioncamere – rappresenta la vera “filiera territoriale”: quella che produce all’interno del territorio nazionale e moltiplica benessere per i territori, secondo una logica di rete che coinvolge tanti piccoli e medi imprenditori, anche del mondo del nonprofit. La sua capacità anticiclica deve far capire dove occorre oggi concentrare gli sforzi di politica economica e dove – a livello nazionale e locale – è necessario incentivare investimenti che ottengano effetti moltiplicativi certi sull’occupazione, sui consumi, sul turismo e a vantaggio delle esportazioni di beni e servizi“.
Allegati: Incidenza della cultura sul Pil