Intesa Sanpaolo interviene dopo indiscrezioni su taglio asset rischiosi. Il gruppo bancario italiano ha precisato che il “Common Equity Tier 1 ratio fully loaded del Gruppo è atteso collocarsi al 31 dicembre 2022 su livelli nell’ordine del 13% e successivamente su livelli che rispettino ampiamente l’obiettivo superiore al 12% nell’orizzonte del Piano di Impresa 2022-2025 secondo le regole di Basilea 3 / Basilea 4”. Tale previsione tiene conto “di tutti gli impatti regolamentari previsti e dell’esecuzione del buyback per il restante ammontare di 1,7 miliardi di euro autorizzato dalla BCE, in merito alla quale il Consiglio di Amministrazione deciderà entro il 3 febbraio prossimo, e senza considerare circa 120 centesimi di punto di beneficio derivante dall’assorbimento delle imposte differite attive (DTA), di cui circa 35 nell’orizzonte del Piano di Impresa 2022-2025”.
Le azioni di riduzione degli asset ponderati per rischio attuate nel quarto trimestre 2022, ha proseguito il gruppo “sono da mettere in relazione in particolare alle modifiche normative applicabili a partire dal 1° gennaio 2023 e riguardano posizioni EVA negative o che comunque non risultano più giustificate a fronte del capitale assorbito, e contribuiscono alla significativa creazione e distribuzione di valore per gli azionisti”.
Intesa Sanpaolo e il giallo delle cessioni
Le ipotesi ventilate da Bloomberg, tuttavia, hanno causato un bel calo del titolo a Piazza Affari (-1,91% a 2,18 euro). Secondo il provider, l’istituto sarebbe costretto a cedere prestiti e asset per ridurre la propria esposizione al rischio, per circa 20 miliardi di euro, in modo da rispettare i dettami della Banca centrale europea che di recente ha ricalcolato la posizione di Intesa.
Inoltre, secondo le indiscrezioni di Bloomberg, l’istituto milanese avrebbe valutato una eventuale ‘synthetic securitization’, ossia una cartolarizzazione in più tranche con protezione del rischio per alcune classi. Notizia che mette in discussione la realizzabilità del piano di Messina in merito alla remunerazione degli azionisti tramite dividendi e buyback (22 miliardi entro il 2025).