“La vera parola chiave del 2020 non è pandemia ma ‘sindemia’, cioè quel fenomeno per cui più emergenze sanitarie si sovrappongono: quella legata al Covid, che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone; quella delle malattie croniche, che coinvolge un italiano su tre; e quella delle disuguaglianze economiche dovute alla crisi, che hanno amplificato il problema dell’accessibilità alle cure, riducendo anche la possibilità di ricorso alla sanità privata”. A parlare con FIRSTonline del tema della sanità e della necessità di un sistema sanitario che viaggi su un doppio binario, pubblico e privato, è Marco Vecchietti, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo RBM Salute.
La società del gruppo Intesa, in collaborazione con il Censis, ha pubblicato in questi giorni il “IX Rapporto sulla Sanità Pubblica, Privata e Intermediata”, che evidenzia alcuni dati: innanzitutto quasi un italiano su tre, durante la pandemia, ha rinviato prestazioni sanitarie, anche urgenti. Allo stesso tempo però, il Covid ha aumentato l’attenzione di tutti verso il tema della salute: due italiani su tre la mettono al primo posto tra le priorità dei prossimi anni e la percentuale di cittadini disponibili a sottoscrivere una assicurazione sanitaria privata è salita dal 15% del 2019 a oltre il 30% nel 2020.
Oggi però solo il 22% dei lavoratori italiani ha sottoscritto una forma di sanità integrativa.
“Un dato contenuto e concentrato nel settore del lavoro dipendente, che beneficia con modalità semi automatiche di queste tutele aggiuntive, grazie alla contrattazione collettiva. Il livello di copertura, in questa categoria di lavoratori con contratto di lavoro stabile, supera il 50% (7,6 milioni di lavoratori su un totale di 14,9 milioni), ma è molto più bassa tra autonomi, imprenditori, pensionati. Ed è proprio a favore di queste categorie, che sono tra l’altro quelle più colpite dalla crisi, che bisognerebbe promuovere una maggior diffusione di forme di assistenza integrativa: sarebbe un modo per alleggerire il Servizio Sanitario Nazionale, che è sempre più sotto pressione sia dal punto di vista finanziario che della capacità sanitaria. La pandemia ci ha insegnato che il modello organizzativo del Sistema Sanitario va cambiato e che non è solo una questione di capacità di spesa: molti hanno sperimentato che nemmeno la disponibilità economica è sufficiente per garantire l’accesso alle prestazioni, perché c’è anche un tema assistenziale. Bisogna aggiornare il sistema nel suo complesso perché sia pronto ad affrontare il futuro”.
Come, secondo lei?
“Oggi abbiamo un modello in cui il SSN viene finanziato attraverso il prelievo fiscale generale, che in media costa ad ogni italiano 1.890 euro l’anno, al quale si aggiunge il contributo individuale dei pazienti nel momento in cui accedono alle cure, tramite il pagamento del ticket, della prestazioni private, ma erogate presso una struttura sanitaria pubblica, e di quelle effettuate al di fuori del SSN. Si tratta di un costo medio pari ad ulteriori 690 euro l’anno per ogni cittadino, che complessivamente garantiscono oltre un quarto dei finanziamenti destinati al Sistema Sanitario. Questi 690 euro, scendono a circa 300 per i cittadini che già dispongono di un fondo, o di una polizza sanitaria, grazie al rimborso di parte delle spese sostenute da parte della compagnia assicurativa. Con un modello che preveda una maggiore diffusione dell’assicurazione sanitaria privata, si allargherebbe la base e a pagare non sarebbero solo i pazienti, ma tutti i sottoscrittori, il contributo individuale quindi sarebbe inferiore alleggerendo nel contempo, grazie alle sinergie tra sanità integrativa e sanità privata, la pressione sul SSN. In altri Paesi Europei, del resto, funziona già così”.
Quali?
“Nel Regno Unito, in Germania, o nella stessa Francia, dove il 67% delle prestazioni effettuate fuori dal sistema sanitario pubblico è garantito da un sistema di fondi sanitari, compagnie assicurative e mutue. In Spagna i premi totali delle assicurazioni sanitarie sono di quasi 6 miliardi di euro, il doppio che in Italia. Grazie, in quel caso, all’iniziativa delle banche che sono state le più attive nel proporre queste nuove formule di protezione dei loro clienti, inserendo in modo strutturato anche la tutela della salute”.
Quali sono invece le vostre soluzioni?
“L’84% dei premi di Intesa Sanpaolo RBM Salute deriva da polizze sanitarie destinate ai fondi sanitari contrattuali dedicati alle aziende ed i loro dipendenti (ampliabili anche alle loro famiglie), mentre il 16% è rappresentato da polizze sanitarie con i clienti retail; dal prossimo anno amplieremo la nostra proposta proprio per la clientela individuale, a cominciare dai nostri correntisti, attraverso il modello di bancassicurazione del gruppo Intesa Sanpaolo. Per la pandemia abbiamo messo in campo in questi mesi una linea di prodotti denominata “Pandemic Risk”, con due possibili livelli di tutela: il primo dedicato ai lavoratori attraverso l’erogazione di un indennizzo differenziato per ciascuna delle fasi della cura della patologia, l’eventuale ricovero in terapia intensiva, l’isolamento fiduciario (attualmente, il più frequente) e la riabilitazione respiratoria, un aspetto di cui si parla poco, ma destinato a perdurare anche fuori dalla pandemia. Il secondo per tutelare la continuità dell’attività aziendale, attraverso il rimborso dei costi sostenuti dalle imprese per gestire test sierologici e tamponi qualora si verifichino casi di sospetto contagio tra i lavoratori”.
A quanto ammontano le coperture?
“Ci sono ovviamente vari livelli di copertura, che variano a seconda della polizza sottoscritta e dell’opzione attivata. Per l’isolamento fiduciario l’indennità prevista va dai 350 ai 1.500 euro, mentre per i ricoveri in terapia intensiva, a seconda dei giorni di ricovero, l’indennità varia fra un minimo di 3.500 ed un massimo di 15.000 euro. Per le aziende invece il risarcimento delle spese sostenute per organizzazione e gestione di tamponi e test sierologici è integrale”.
Nel 2020 la nuova consapevolezza del rischio sanitario ha determinato una crescita di clienti e premi?
“Per quanto riguarda le polizze sanitarie dedicate alla protezione delle sindromi influenzali di natura pandemica, incluso il Covid, sicuramente sì, mentre si registra uno stallo nella crescita di fondi sanitari contrattuali e forme di sanità integrativa aziendali e della pubblica amministrazione, proprio perché il lockdown, le varie restrizioni di questi mesi e la crisi economica hanno limitato gli investimenti nel campo del welfare contrattuale”.
Quale sarà il vostro impegno nella partita dei vaccini anti-Covid?
“Riteniamo che il rimborso dei farmaci, quindi anche dei vaccini, rappresenti una delle garanzie che dovrebbero sempre trovare spazio in una polizza sanitaria. Seguiamo con molta attenzione lo sviluppo degli studi sul vaccino anti-Covid e, non appena sarà possibile, valuteremo le modalità più adeguate per garantire anche questa copertura ai nostri clienti”.