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Intesa Sanpaolo: malgrado le tante tensioni in corso, scende l’avversione al rischio

FIRSTonline

Il livello di avversione al rischio che emerge da molti indicatori sembra in contrasto con uno scenario, per alcuni, ricco di incertezze. Fondamentalmente a giudicare dal loro livello, sembra che non ci sia tensione sui mercati in merito alla possibilità di una internazionalizzazione del conflitto siriano o di una recrudescenza della crisi dell’euro. Il recente comportamento di questi indicatori conferma che i mercati finanziari sono di nuovo in modalità “risk on”. Questo potrebbe rappresentare di per sé un selling factor per i bond dei paesi periferici in quanto le probabilità di vedere una temporanea battuta d’arresto potrebbero essere state sottovalutate.

In effetti, lo scenario macro nei paesi del G7 sembrava, solo qualche settimana fa, pieno di incertezze. Le prospettive di crescita dei paesi emergenti sembravano meno brillanti del previsto, in particolare in Cina. Dopo la pubblicazione di alcuni dati ad alta frequenza questo stato d’animo si è capovolto. Il tapering della Fed è considerata abbastanza unanimemente un’altra fonte di volatilità, mentre la BCE non sembra avere ampi spazi di manovra per assorbire eventuali shock negativi. Nonostante questo scenario, gli indici di avversione al rischio hanno evidenziato forti cali in una vasta gamma di attività finanziarie. Mentre alcuni player del mercato contano su una nuova ondata di volatilità e su di un aumento dell’avversione al rischio, le nostre previsioni sottendono invece un periodo di bassi premi di rischio.

Le prospettive macroeconomiche per l’Area dell’euro descrivono uno scenario di crescita moderata nella seconda metà dell’anno, aiutato dalla ripresa dei suoi principali partner commerciali. Gli Stati Uniti stanno mostrando crescenti segnali di forza della domanda interna, grazie ad una stabile ripresa nel mercato del lavoro. Dopo alcuni mesi di calo nell’attività produttiva la Cina sembra orientata verso un recupero radicato non solo nella domanda estera, ma anche nei mercati nazionali. La ripresa della zona euro, sebbene in pieno svolgimento, soffre ancora la crisi dei suoi membri periferici. Anche nei paesi più colpiti tuttavia ci sono alcuni germogli verdi di ripresa.

Con output gap ancora ampi ci sono pochi segni di inflazione in Eurozona, ma anche negli Stati Uniti. Considerando la natura lagging del tasso di disoccupazione sul ciclo economico, l’output gap impiegherà del tempo a ridursi esercitando una pressione al ribasso sulla dinamica dell’inflazione nei prossimi mesi.

Le politiche fiscali nei paesi periferici dell’Area euro sono orientate verso un ulteriore consolidamento, ma con una maggiore attenzione sulle tematiche di crescita. I deficit strutturali segneranno importanti miglioramenti sul tema della sostenibilità fiscale. Le traiettorie di espansione del debito pubblico dovrebbero prevedere uno scollinamento tra il 2013 ed il 2014.

La situazione politica italiana. Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un aumento modesto dello spread BTP-Bund e ad una netta sotto-performance rispetto ai titoli spagnoli ora scambiati su livelli di rendimento paragonabili a quelli italiani. Sin dalle prime fasi della crisi dell’euro gli indicatori di avversione al rischio hanno aumentato la loro correlazione con le vicende politiche italiane, considerando il loro livello attuale la stragrande maggioranza di questi indicatori suggerirebbe che le probabilità di una nuova crisi politica in Italia sono piuttosto trascurabili e / o che i saldi di bilancio resteranno in linea con i target del patto di stabilità anche senza un Governo forte ai comandi.

Mentre le elezioni anticipate sembrano meno probabili oggi, siamo più scettici sulla capacità di rispettare gli obiettivi di deficit sposati nel programma di stabilità per il 2013 (-2,9%). Come abbiamo recentemente documentato (IRS 11 settembre), nonostante le parole rassicuranti del ministro delle finanze Saccomanni, il raggiungimento degli obiettivi fissati per l’anno fiscale in corso sarà impegnativo. La necessità di elaborare una nuova serie di misure di austerità dalprofilo growth friendly per compensare un probabile sforamento degli obiettivi potrebbe rappresentare un forte argomento contro i fautori della linea dura. Detto ciò anche se il presidente Napolitano non fosse in grado di evitare un nuovo round di elezioni generali, non pensiamo che l’instabilità politica in Italia possa mettere a repentaglio la tendenza più ampia di stabilizzazione globale dei mercati finanziari.

L’euro. In generale riteniamo che la zona euro abbia ormai superato la crisi di fiducia che ha colpito la moneta unica. Mentre ci sono ancora grandi sfide da affrontare il nuovo quadro di governance delle politiche economiche e fiscali, la creazione di un meccanismo di soccorso finanziario ed il conferimento del potere di vigilanza alla BCE sul sistema bancario hanno cambiato radicalmente il campo di gioco. Inoltre la configurazione di un meccanismo di risoluzione europeo per le banche in difficoltà completerà la struttura dell’unione bancaria e contribuirà ulteriormente alla stabilità finanziaria della UEM.

La Fed. Un’altra potenziale fonte di volatilità è rappresentata dalla politica monetaria della Fed. Riuscirà la Fed a gestire l’exit strategy senza contraccolpi ai mercati finanziari e all’economia? A giudicare dall’inerzia con la quale ha avviato il tapering sembra che il Board sia intenzionato a diluirne fortemente la valenza restrittiva. Come ha in parte confermato la Fed nel comunicato della riunione di settembre ci sono almeno tre ragioni principali che dovrebbero mantenere la Fed estremamente cauta. In primo luogo, i rendimenti sono saliti in modo molto significativo da quando la Fed ha iniziato a segnalare la possibilità di tapering raggiungendo livelli prossimi ai valori di lungo termine. La seconda ragione riguarda le prospettive di inflazione. Non ci sono segni di un accumulo delle pressioni inflazionistiche. Gli indicatori core sono ancora al di sotto dell’obiettivo della Fed, l’inflazione degli input produttivi è ancora bassa e il costo del lavoro per unità di prodotto non indica pressioni dal lato dei costi. L’output gap è ancora molto ampio e non esercita pressioni inflattive dal lato della domanda. Infine le aspettative di inflazione sono ben ancorate a livelli coerenti con il mandato di inflazione della Fed. Il terzo motivo riguarda la capacità di tenuta della ripresa a fronte dell’aumento dei tassi di interesse. Questo è in gran parte una questione aperta, ma a giudicare dal recente comportamento delle indici di fiducia dei consumatori, sarebbe rischioso eccedere in una strategia di uscita troppo aggressiva.

In generale ci sono molte ragioni per credere che la Fed cercherà di tirarsi fuori dal QE3 in modo da evitare reazioni negative di mercato. Un modo per farlo è lavorare sul canale di comunicazione e chiarire la natura del “livello del 7%” per il tasso di disoccupazione che è stato ampiamente interpretato come un innesco per fermare il QE3.

La BCE. Le decisioni di policy più efficaci concernenti la BCE hanno riguardato la strategia di comunicazione e l’ampliamento del suo ruolo istituzionale per includere anche il ruolo di supervisione del settore bancario. Con quest’ultimo non siamo ancora arrivati ad una unione bancaria, ma ci siamo almeno avvicinati ad essa. Si tratta inoltre di un passo importante verso la creazione di un meccanismo di risoluzione unico per il settore bancario e il coinvolgimento diretto dell’ESM nell’eventuale processo di ricapitalizzazione delle banche dell’Area euro. La nuova architettura di vigilanza dovrebbe contribuire a ridurre i premi al rischio sul mercato interbancario, allentando la dipendenza delle banche dei paesi periferici dai finanziamenti dellaBCE e migliorando l’efficacia dei canali di trasmissione della politica monetaria. Sulla strategia di comunicazione vi è una chiara tendenza della BCE a considerare ulteriori interventi espansivi,mentre l’impegno a mantenere i tassi bassi è stato esteso. Mettendo da parte la retorica della BCE, gli spazi di manovra per interventi di tipo convenzionale si sono praticamente esauriti: vi è ancora la possibilità di un altro taglio di 25 pb, ma questo sarebbe ad ogni modo l’ultimo. Senza spazio per ulteriori tagli, la BCE dovrebbe adottare nuovamente misure non convenzionali se giustificate dal deterioramento delle condizioni economiche e di mercato. La scatola degli attrezzi della BCE in materia appare molto meno varia e completa di quella della Fed ed un altro LTRO sarebbe l’opzione più probabile.

In breve, non ci aspettiamo troppo da parte della BCE. Il ciclo di allentamento dovrebbe aver giàraggiunto il suo culmine. Un ultimo intervento marginale è ancora possibile e dovrebbe essere attuato al più presto possibile per aumentare le chance di ripresa. Questa decisione dovrebbe essere facilitata anche dal fatto che la Bundesbank è sicuramente molto felice del nuovo potere della BCE in materia di vigilanza ed un taglio marginale del refi farebbe comunque diminuire le probabilità di politiche non convenzionali. I progressi registrati sul mercato interbancario dovrebbero consentire un effetto più uniforme della politica monetaria e ciò dovrebbe trasmettersi anche alle condizioni del credito dei paesi periferici colpiti dalla crisi.

Per concludere

Il livello di avversione al rischio che emerge da molti indicatori sembra in contrasto con uno scenario di estensione del conflitto siriano o di un’altra ondata di crisi dell’euro. Mettendo da parte il rischio geo-politico legato alla Siria, noi crediamo che siamo entrati in un periodo caratterizzato da bassi premi di rischio. Una prospettiva macro tutto sommato positiva, politiche monetarie con un bias ancora espansivo negli Stati Uniti e nell’eurozona ed il rafforzamento della governance economica e fiscale nella UEM dovrebbero preludere ad un periodo di condizioni di mercato più stabili.

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