“Nell’ambito del nostro business plan siamo pronti ad erogare oltre 150 miliardi ci credito a sostegno degli investimenti a medio lungo termine”. Così l’a.d. di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, alla presentazione del sesto Rapporto sui distretti elaborato dall’ufficio studi della banca, da cui emerge, sottolinea il chief economist Gregorio De Felice, “un parziale recupero di redditività legato all’export, che potrebbe consolidarsi nel 2014/15, anche se non mancano fattori di criticità”.
Ma nessuno si illuda che Banca Intesa si prepari ad un’erogazione a pioggia sulla base di spinte politiche o di sistema. “Naturalmente il nostro impegno riguarda l’offerta – precisa l’ad -. Poi ci vuole la domanda, una domanda sana che non si traduca in sofferenze o aumento del costo del credito a danno della redditività dell’azienda e dell’interesse dei nostri azionisti, non solo italiani”. E per l’occasione Messima spende parole di soddisfazione per l’investimento di BlackRock, oggi il secondo socio dell’istituto. “Ci fa molto piacere, è il tipo di investitore che vogliamo avere nel capitale”, ha poi commentato a margine della presentazione. “Credo sia un segnale di fiducia non soltanto nella banca ma che dal punto anche nel paese… Io penso che nei prossimi mesi quando avremo presentato il piano industriale, se verrà valutato in modo positivo, ci potranno essere altri investimenti da parte di investitori istituzionali”.
Insomma, l’appuntamento è per il 28 marzo, quando verrà esposto l’atteso business plan a cui Messina lavora fino dal primo giorno dalla sua nomina ad ottobre. “Un’operazione che ha coinvolto 6 mila dipendenti”, sottolinea Messina, che affonda in radici solide: “In questi anni abbiamo raccolto 36 miliardi dalla Bce, rimborsati integralmente, ma ne abbiamo prestti più di 50 a famiglie ed imprese. Ci presentiamo all’esame dela Bce con un common equity superiore all’11 per cento, il più alto tra le banche europee. E resteremo l’istituto migliore anche dopo l’asset quality review. Anche dal punto di vista della liquidità”.
Insomma, la prima banca italiana si è attrezzata per far da trampolino alla ripresa, anche se le teste d’uovo di Intesa non si fanno illusioni: la previsione sulla crescita resta prudente (lo 0,5%, meno delle proiezioni Ue) ed è assai dubbio che il cavallo dell’economia italiano sia in grado di bere tutta l’offerta potenziale della banca (in quel caso la crescita del pil dovrebbe aggirarsi sul 2%, molto di più di quanto non si posa sperare oggi).
Ma Messina sta bene attento a non invadere il terremo della politica economica, tantomeno della politica tout court: nessun commento su ministri o programmi dell’esecutivo, nessuna dichiarazione sulle tasse sui Bot, ma pieno consenso a scelte politiche “anche sulle rendite finanziarie purchè vadano nella direzione di stimolare la domanda interna”. Per avere indicazioni sulla bad bank interna (o con Unicredit) occorrerà attendere il 28 marzo.
Nel frattempo, l’analisi sul sistema distrettuale (scrutinati i bilanci degli ultimi cinque anni di 13mila imprese di 144 distretti a confronto con oltre a 37 mila imprese non distrettuali che operano negli stessi settori) conferma che il maggior dinamismo e capacità di risposta alla crisi di questa formula, pur profondamente cambiata nel corso degli ultimi anni. Le imprese dei distretti hanno più propensione all’export (il 45% contro il 34%) ma anche agli investimenti diretti oltre frontiera (il 9% contro il 7%). Negli ultimi anni è cresciuta la capacità di registrare brevetti (il 55% contro il 40%) e marchi (42 imprese su 100 contro 22) con il risultato di creare una massa critica che lascia prevedere un’accelerazione nel prossimo futuro: nel 2014 la crescita dovrebbe essere del 2,2% con un’accelerazione al 4,7% nel 2015. Numeri importanti, ma che non inducono al trionfalismo. A fine 2015 il fatturato complessivo sarà ancora sotto (-1,4%) a quello del 2008, con una performance comunque ben migliore di quella delle altre imprese (-9%).
Gli aspetti critici, oltre alla debolezza finanziaria spesso conseguenza della caduta della domanda interna, riguardano la disarticolazione della filiera anche se dal rapporto emerge che i due terzi delle imprese non intende ridurre le commesse ai subfornitori locali. L’emergenza, semmai, riguarda il problema del ricambio generazionale, sia alla testa delle impreseche, non meno grave, della formazione degli addetti.
Sul piano delle performance, infine, svettano i distretti eno-alimentari. In testa per crescita e redditività troviamo i vini del veronese seguito, al terzo posto, al prosecco di Conegliano e Valdobbiadene e dai dolci di Alba e Cuneo. Le calzature di San Mauro Pascoli (secondo posto) e quelle di Arezzo (sesto) spezzano l’egemonia dell’alimentare. Ma per trovare l’industria occorre scendere alla posizione numero 11 occupata dalle macchine per imballaggio dei distretto di Bologma.