“In un momento in cui questo Paese necessita di un campione nazionale, in cui questo Paese sta perdendo i suoi campioni nazionali, trovate corretto che si chieda a delle Fondazioni di dismettere le loro azioni in un’azienda secondo il principio che non può essere concentrato più del 30% del patrimonio in un asset?”. Lo ha detto l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, commentando la vendita dello 0,95% del capitale da parte della Compagnia di San Paolo, così come previsto dal protocollo Acri-Mef, che impone alle fondazioni di ridurre l’esposizione a singoli investimenti.
“È una regola che andava bene per Mps – ha aggiunto – ma forse bisognerebbe valutare anche che se questa azienda è una delle più redditizie d’Europa e difficilmente le Fondazioni potranno trovare investimenti con ritorni maggiori, allora forse posporre il tempo in cui si chiedono questi interventi lo avrei trovato ragionevole. Parlo da italiano e non da ad di Intesa, anche perché credo che rimarranno comunque azionisti importanti. Le Fondazioni hanno garantito a questa banca di avere un percorso di sviluppo e hanno sempre sostenuto le scelte management”.
In questo Paese “sottovalutiamo quanto sia strategico il mantenimento di noccioli duri italiani e devo riconoscere il valore strategico della presenza di azionisti come le Fondazioni nel capitale di Intesa Sanpaolo. Non vorrei mai – ha concluso Messina – che tra qualche anno dovessimo trovarci alle prese con la messa a punto di golden power nel settore bancario”.