La Fondazione Golinelli che ha sede a Bologna, nasce nel 1988 per volontà del suo fondatore, l’imprenditore Marino Golinelli, modenese di nascita, che già negli anni ’60/70 credeva che per costruire una nuova società bisognava ridare alla società ciò che essa aveva dato in un concetto decisamente anglosassone. Una storia la sua, che ha visto momenti difficili ma che, grazie alla sua tenacia rispettosa dei suoi principi, ha trovato sempre la determinazione per proseguire il suo progetto: lavorare a favore dell’uomo, partendo dalla formazione dei giovani per costruire un mondo migliore , come? attraverso quel concetto chiamato “filantropia”.
La Fondazione è oggi l’unica realtà in Italia che applica il modello americano secondo uno spirito filantropico di pragmatismo, concretezza e di un pluralismo che si manifesta attraverso la convinzione che la società civile, cioè la collettività dei cittadini, sia capace di auto-organizzarsi sulla base di un sentire comune. Poniamo ad esempio John Rockefeller che all’inizio di questo secolo ne è un esempio al riguardo anche a livello mondiale: la sua Fondazione filantropica ha promosso lo sviluppo di capacità agricole, finanziato programmi e istituzioni nei Paesi in via di sviluppo, i talenti umani e i valori culturali, nel rispetto dell’equilibrio tra popolazione e produzione da un lato e risorse naturali dall’altro.
Tornando all’esempio italiano della Fondazione Golinelli, oggi la troviamo impegnata su molteplici attività di alto profilo umano, scientifico e che si intersecano tra loro, scuola, università, impresa, mondo del lavoro, arte, scienza, dove la responsabilità sociale ha il compito di sopportare ciò che sarà del futuro di un mondo che potremmo definire “imprevedibile”.
Un progetto che continua ad evolversi, quello di Marino Golinelli, che vedrà nel prossimo autunno 2015 anche l’attesissima l’apertura dell’Opificio Golinelli, un luogo, un edificio al centro di Bologna che ospiterà tutte le attività fino ad oggi organizzate e molte altre future.
Presidente, Lei come si definisce?
Innanzitutto un laico vero, con una visione evoluzionista della vita e “filantropo”.
Come nasce l’idea dell’Opificio?
La Fondazione Golinelli è nata oltre venticinque anni fa con l’obiettivo della divulgazione della cultura scientifica, con attività di formazione e didattica in grado di stimolare la creatività dei giovani. Oggi abbiamo anche una scuola di cultura imprenditoriale, un percorso innovativo per gli studenti più meritevoli, che promuove start-up più innovative di questi ragazzi, avvicinandoli al fare impresa fin dagli anni del loro percorso di studi. Questo è “il giardino delle imprese”.
Cosa significa per lei “Opificio” nel contesto sociale ed economico di oggi?
Significa essere coerenti con lo sviluppo delle nostre iniziative, proiettandole in una società futura, diversa e più complessa, coerentemente appunto con la imprevedibilità del domani, affinchè i giovani possano affrontarlo con fiducia.
Bologna è una città da sempre considerata moderna e la Fondazione con le sue prime attività è già sicuramente qualcosa di importante e che oltrepassa la modernità entrando in una dimensione di grande contemporaneità: che cosa vorrebbe chiedere per il futuro alla città?
Chiedo a Bologna disponibilità strategica, una maggiore condivisione e un piano che proietti la Fondazione Golinelli a lungo termine.
Sono già molte le attività promosse dalla Fondazione, con grande attenzione alla didattica, ai giovanissimi e giovani: è un disegno illuminato o un progetto che crede nei giovani per costruire il nuovo futuro?
L’Opificio ha come significato la “conoscenza della cultura”, un luogo e un modo dove si può interagire dai 18 mesi ai 20 anni fino alla Scuola dell’imprenditorialità. Credo perciò sia necessario sapere difendere i nostri interessi ma agire con la conoscenza della responsabilità sociale.
Il suo impegno è paragonabile ad un mecenatismo illuminato: Lei come vorrebbe essere “pensato” dalla gente?
Filantropo. Non mi ritrovo nella definizione di mecenate, alla quale preferisco quella del filantropo, nella eccezione più aperta del termine del rendere alla società ciò che dalla società abbiamo avuto.
Qual è la sua visione del mondo?
La storia insegna che c’è una “evoluzione” del concetto, dobbiamo perciò accettare il cambiamento, secondo la visione darwiniana del mondo.
Che cos’è per lei l’arte?
E’ innovare. L’arte serve per capire il mondo.
Una ultima domanda: che consiglio si sente di dare ad un giovane di oggi?
Di prendere coscienza della realtà in cui vivono e cercare di sviluppare un senso sociale di responsabilità per vivere e soprattutto di riuscire a rispondere ad un perché.