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Internet, tutti contrari a Telco Tax e Fair Share: Biden punta i piedi ma anche ministri Ue e Berec dicono no

Pixabay

Si allontana la possibilità di introdurre la cosiddetta “Telco Tax” in Europa, una tassa che i grandi gruppi dell’Hi-Tech dovrebbero pagare alle società di telecomunicazioni per finanziare lo sviluppo del 5G e della banda larga nel Vecchio Continente. Dopo la contrarietà dei ministri europei del settore, arriva anche il secco No dell’amministrazione statunitense, secondo cui imporre un pagamento diretto da parte degli Over The Top agli Internet service provider (Isp) distorcerebbe la concorrenza e minerebbe la neutralità della rete.

La proposta delle Telco

I gruppi tech che rappresentano più del 5% del picco medio di traffico internet di un provider di telecomunicazioni dovrebbero finanziare il lancio del 5G e della banda larga in Europa. Questo quanto previsto da una bozza di proposta presentata dalle grandi Telco europee. L’iniziativa arriva nell’ambito del feedback fornito alla Commissione europea, che a febbraio ha lanciato una consultazione sulla questione. 

Nel settembre dello scorso anno, infatti, Breton aveva annunciato il lancio di una consultazione pubblica sul mondo Internet allo scopo di aiutare la Commissione Ue a decidere se i giganti del web dovessero essere effettivamente “tassati” per partecipare ai costi delle reti di telecomunicazione. “Dobbiamo chiederci se la nostra regolamentazione sulle reti, pensata all’epoca dell’apertura alla concorrenza delle reti in rame, è ancora adatta, ora che si parla già di metaverso con flussi massicci di dati”, aveva detto il commissario, parlando di “Fair Share” ovvero della possibilità che i big Hi Tech facciano la loro parte nel finanziamento dell’infrastruttura europea per la banda larga.

Secondo quanto spiegato da Reuters, il documento presentato all’Esecutivo Ue sarebbe stato scritto dalla Gsma, un’associazione della quale fanno parte, tra gli altri, Deutsche Telekom, Orange, Telefonica, Telecom Italia e Vodafone. 

Parlando in parole povere le aziende chiedono che le Big Tech si facciano carico di parte dei costi di rete sulla base del fatto che i loro dati e contenuti costituiscono gran parte del traffico generato sulle reti.

Il No dei ministri Ue delle telecomunicazioni

Sempre Reuters, che cita fonti anonime, spiega che la maggior parte dei paesi dell’UE avrebbe già espresso la propria contrarietà nei confronti della “telco tax”. Giovedì, in un incontro con il capo dell’industria dell’UE Thierry Breton a Lussemburgo, i ministri delle telecomunicazioni di 18 paesi hanno rifiutato la tassa di rete proposta per le aziende tecnologiche. A detta loro, infatti, ad oggi non ci sarebbe un’analisi sugli impatti della misura che, tra l’altro, potrebbe comportare un rischio per i consumatori finali, dato che le Big Tech potrebbero trasferire i maggiori costi ai consumatori, aumentando i prezzi.

I ministri hanno inoltre avvertito Bruxelles sulla potenziale violazione delle regole di “neutralità della rete” dell’UE, che richiedono che tutti gli utenti siano trattati allo stesso modo, così come su possibili ostacoli all’innovazione e su una qualità inferiore dei prodotti.

Secondo le indiscrezioni riportate dall’agenzia di stampa, ad esprimere la propria contrarietà nei confronti della tassa sono stati i ministri di Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Lituania, Malta e Paesi Bassi.

Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Spagna e Cipro sarebbero invece favorevoli all’idea, mentre Polonia, Portogallo e Romania sarebbero neutrali.

Entro fine giugno dovrebbe arrivare un rapporto da parte di Bruxelles che riepiloga i feedback forniti alla Commissione da Big Tech, fornitori di telecomunicazioni e altri, che aiuterà a decidere i suoi prossimi passi.

Telco Tax: l’amministrazione Biden dice No

Dopo il No di Google, Apple, Meta, Netflix, Amazon e Microsoft, anche l’amministrazione Biden si è detta fortemente contraria all’idea di imporre una tassa sulle Big Tech, esortando  l’Unione Europea a respingere il piano delle Tlc per far pagare alle società Big Tech le espansioni e gli aggiornamenti della rete dei fornitori di servizi Internet. 

Nei commenti presentati alla Commissione europea la scorsa settimana, la National Telecommunications and Information Administration (Ntia) del Dipartimento del Commercio Usa ha affermato che imporre pagamenti diretti alle Big Tech nei confronti dei cosiddetti ISP (Internet Service Provider, ndr.), “distorcerebbe la concorrenza” e minerebbe la neutralità della rete.

“L’obbligo di pagamenti diretti agli operatori di telecomunicazioni nell’Ue in assenza di garanzie sulla spesa potrebbe rafforzare la posizione di mercato dominante dei maggiori operatori”, afferma la Ntia che ha esortato l’Ue a “promuovere l’accesso a prezzi accessibili alla banda larga, proteggere l’accesso degli utenti ai contenuti online ed evitare misure discriminatorie che distorcano la concorrenza”. Non solo, secondo l’ente statunitense, la proposta potrebbe creare un nuovo “collo di bottiglia” che potrebbe essere utilizzato dagli operatori delle telecomunicazioni per “aumentare il controllo sui propri clienti; aumentare i costi per i consumatori e le piccole imprese; e creare distorsioni nell’ecosistema di Internet”.

“Esortiamo alla cautela nel caso in cui l’Ue consideri eventuali nuovi meccanismi di finanziamento che potrebbero interrompere l’attuale ecosistema di Internet, che si è adattato con successo all’evoluzione delle condizioni tecnologiche e di mercato nel tempo”, ha affermato l’Ntia. “Il traffico Internet è globale se molti Paesi intraprendessero questa strada, sarebbe probabilmente insostenibile”.

Contrario anche il Berec 

In precedenza la proposta delle Telco era stata criticata anche dal Berec, l’organismo che riunisce i regolatori europei delle comunicazioni elettroniche, secondo cui la proposta presenta dei rischi per l’ecosistema di Internet e non sarebbe giustificata dal reale peso che le grandi piattaforme digitali hanno sui costi degli operatori.

“L’introduzione di un contributo finanziario obbligatorio da parte delle grandi Cap (Content and application providers: in pratica, Netflix, Google, Meta, Amazon e via discorrendo) agli Isp può distorcere la concorrenza tra gli attori del mercato“, ha affermato il gruppo. “È probabile che gli Isp più piccoli si trovino in una posizione di svantaggio competitivo rispetto ai grandi Isp, in particolare a causa del numero inferiore di utenti finali e del loro potere contrattuale inferiore. I Cap di grandi dimensioni forniscono in genere reti di distribuzione di contenuti commerciali e servizi cloud potrebbero trasferire i costi più elevati sui loro clienti, il che non riguarderebbe ad esempio solo le Tap più piccole, ma anche gli utenti commerciali, in particolare le Pmi.”

Il BEREC ha anche affermato che esiste il pericolo che i clienti dei fornitori di contenuti, comprese le piccole e medie imprese, siano “influenzati negativamente quando i costi più elevati vengono trasferiti attraverso tariffe più elevate per gli abbonamenti ai contenuti o la qualità del servizio viene ridotta”.

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Categories: Finanza e Mercati