Hai una connessione Internet lenta, ancora sul cavo di rame? Fino ad oggi eri un discriminato, una vittima del cosiddetto digital divide. Dal prossimo Capodanno, ovvero tra pochi giorni, rischi di essere colpito da una sovrattassa del 10% sulla tua linea proprio perché asfittica, incapace di reggere la sfida dei tempi. Un reietto digitale da punire, insomma. Perfino da annullare con un colpo di autentica follia: se non riuscirai a ottenere una buona linea in fibra entro un termine prestabilito sarai disconnesso, punto e basta.
È un paradosso ma è tutto vero. È esattamente quello che prevede l’emendamento della maggioranza n. 76.07 alla manovra di bilancio 2015 depositato alla Camera il 15 novembre dal deputato di Fratelli d’Italia Fabio Carmine Raimondo, reso noto in questi giorni tra lo stupore generale e un’unica consolazione: il provvedimento è così controverso che per una serie di solidi motivi, e non solo per le vibrate proteste di tutti, finirà con tutta probabilità per essere affossato.
Lo scopo: finanziare un nuovo tentativo di decollo del problematico piano per accelerare la larga banda in tutto il territorio italiano e non solo nelle aree più ricche e densamente popolate “forzando” il mercato non con incentivi o vincoli normativi ma penalizzando a colpi di tasse le vecchie tecnologie rame. Discriminatorio il bersaglio: i cittadini e con loro molti operatori che non hanno alcuna responsabilità nei ritardi dell’adeguamento delle reti, già penalizzati dalle connessioni lente, certamente non per colpa loro. Oscuro il meccanismo di applicazione: tutte le connessioni? Anche quelle miste con il doppino di rame che copre solo l’ultimo tratto dal marciapiede (le FTTC, Fiber To The Cabinet)? Solo i privati e le imprese o anche la pubblica amministrazione centrale e periferica? E come immaginare una seppur vaga compatibilità con le normative italiane ed europee a tutela dei consumatori.
A chi teme di essere colpito riserviamo comunque un possibile paracadute, una soluzione dell’emergenza, nel caso il provvedimento si faccia largo. La sostituzione temporanea della nostra linea fissa con una connessione voce e dati “simil fissa” attraverso la rete dei telefoni cellulari o una connessione satellitare, come abbiamo illustrato nei dettagli in uno dei nostri tutorial potrebbe essere un’ottima soluzione, sia nelle prestazioni che nei costi, rispetto alla nostra attuale connessione in rame.
Una gabella per gli innocenti
L’articolazione dell’emendamento parla chiaro. L’obiettivo ufficiale e quello di accelerare la diffusione della fibra ottica in tutta Italia finanziando un fondo specifico per rinforzare incentivi destinati a coprire i costi della migrazione verso le reti a banda larga ultra larga forzando la dismissione della vecchia rete in rame. Operazione certamente necessaria. Rispetto ai programmi, che avrebbero dovuto già celebrare la fase finale dell’operazione, che doveva essere definitivamente chiusa entro il 2028, siamo davvero indietro. Con i dati ufficiali che oltretutto si fermano ad un anno fa quando le linee integralmente in fibra ottica non arrivavano ad una media del 30% del totale nazionale con una forte discriminazione tra i grandi centri urbani e le aree industriali ricche e le aree più periferiche che pagano perfino il fallimento dell’operazione sperimentale per l’intervento straordinario sulle cosiddette aree bianche“ a fallimento di mercato“.
Di qui la trovata: un incremento per legge del 10% sui prezzi dei servizi in rame a partire dal primo gennaio 2025, destinato a finanziare un fondo aggiuntivo per lo switch off. L’emendamento non assegna esplicitamente l’onere ai consumatori finali ma per accelerare il processo arrivando ad almeno il 50% di fibra per tutti gli utenti entro il 2026 con una nuova progressione che dovrà essere messa a punto nei dettagli dall’Autorità delle comunicazioni dovrà essere applicato per tutti i servizi rame, con un loro “incremento dei prezzi pari al 10% del valore complessivo” destinato all’accelerazione della fibra.
È largamente prevedibile che l’incremento non sarà né assorbito né spalmato sull’intera utenza e andrà a colpire immancabilmente i diretti protagonisti del prelievo, ovvero i titolari delle connessioni in rame. Per i quali si prospetta peraltro una mannaia ancor più sanguinaria. Conclusi i tempi che saranno definiti dall’Authority per completare l’intero processo di switch off verso la fibra gli utenti ancora attivi su rame avranno a disposizione ancora sei mesi per tentare di allacciarsi alla fibra, oltre i quali ”si procede alla dismissione della rete in rame e all’interruzione del relativo servizio”.
La caccia (che non c’è) alle vere colpe
Nel frattempo l’operazione fibra traballa tra la crisi strategica e finanziaria dei più diretti protagonisti e lo stesso tempo responsabili operativi della missione. Parliamo di Open Fiber, l’operatore istituzionale a larga maggioranza CDP costituito proprio per essere protagonista dell’operazione, e Tim, l’ex monopolista partecipato dalla stessa CDP che continua ad avere il monopolio di fatto della vecchia rete in rame da dismettere, impegnato esso stesso a realizzare l’infrastruttura in fibra.
Le premesse (e le promesse) della grande operazione di switch off si basavano su alcuni criteri guida. Due i fondamentali: la razionalizzazione delle opere evitando duplicazioni delle reti in fibra con rigorose regole che ne prevedessero l’accesso a condizioni eque e non discriminatorie da parte di tutti gli operatori a prescindere da chi le avesse realizzate; un sistema di incentivi finanziari e normativi (anche in termini di semplificazione le procedure) che consentissero di coprire anche le aree meno ricche e remunerative del paese.
Le cronache dei media sono piene di resoconti che testimoniano il mancato rispetto di questi criteri guida, con immancabili riflessi sulla conseguente dispersione di risorse e ritardi nei processi. Nelle aree ”ricche”, dense di utenza e quindi più favorevoli agli affari per gli operatori, c’è una palese duplicazione o addirittura moltiplicazione delle infrastrutture, con cavi in fibra ottica istallati da diversi gestori che si sovrappongono, si intrecciano e in qualche caso si danno perfino fastidio tra loro. In molte abitazioni, non solo dei quartieri alti delle grandi città, compaiono i box di connessione in fibra di tre o addirittura quattro fornitori di connettività in concorrenza non solo sul servizio ma anche sulle linee fisiche.
Nel frattempo nelle aree ”a fallimento di mercato”, teoricamente baciate dagli incentivi pubblici straordinari, sono molti gli esempi di fibra già installata da mesi, grazie all’impiego di ingenti risorse pubbliche, che però sono lasciate in stato dormiente senza le interconnessioni finali a disposizione degli operatori e degli utenti. Quegli stessi utenti che nel frattempo saranno chiamati a pagare la nuova tassa del 10% e che se qualcosa non cambierà davvero rischieranno di essere tagliati fuori da Internet e dal mondo, magari con la fibra morta nel tombino sotto casa.