A furia di abbaiare alla luna capita che si finisca per non vederla più perché l’attenzione è tutta concentrata sul dito che si leva minaccioso per indicarla e inveire senza accorgersi che così la luna scompare dagli occhi. E’ quello che sta succedendo all’internazionalizzazione delle imprese italiane. Bisogna riconoscere che, in tempi di crisi globale, l’antistorica protesta nazionalista e protezionista che accompagna ogni volta l’arrivo degli investitori esteri e l’acquisto di qualunque azienda italiana anche non strategica ha negli ultimi tempi perso qualche freccia al suo arco. Ma chi non ricorda l’indignazione che solo qualche settimana s’è levata contro la vendita della Indesit agli americani?
Dopo i ripetuti rifiuti ai francesi su Alitalia (ma prima o poi bisognerà indicare al pubblico ludibrio tutti i colpevoli paladini dell’assurda italianità della nostra maggiore compagnia aerea) per l’arrivo degli arabi di Etihad la caccia allo straniero è invece una molla scarica. Per una ragione molto semplice anche se non ancora chiara ai tutti i sindacalisti del trasporto aereo (ma per loro la rottamazione non vale mai?): senza gli investimenti degli arabi, Alitalia può fare e dire quel che vuole ma fallisce inesorabilmente perché già adesso è sull’orlo della bancarotta.
Non stupisce che chi vive l’internazionalizzazione con l’incubo dell’assedio perenne non veda la realtà che scorre sotto i suoi occhi, ma i fatti sono fatti e le cifre parlano chiaro. I gioielli italiani fanno gola a tanti investitori stranieri ma non è che gli italiani giochino sempre in difesa. Spesso sono anche eccellenti cacciatori. Sabato “Milano Finanza” ha fatto un po’ di conti e il risultato è presto detto: nei primi sei mesi del 2014 le aziende italiane hanno fatto acquisizioni all’estero per un totale di 3,5 miliardi. Ma il colpo d’ala degli italiani oltreconfine è arrivato nei giorni scorsi con la maxi-acquisizione della Gtech a Las Vegas dove la società dei Drago e dei Boroli ha annunciato l’acquisto della International Game Technologies per la bellezza di 4,7 miliardi.
Più di quanto le altre aziende italiane avevano speso per fare shopping all’estero nella prima parte dell’anno e che fa di Gtech il leader mondiale dei giochi. Dunque, a conti fatti, dall’inizio del 2014 le acquisizioni di imprese italiane all’estero ammontano a oltre 8 miliardi. In questa somma c’è il colpo di Gtech, come s’è detto, ma c’è anche la madre di tutte le acquisizioni all’estero e cioè il completo acquisto di Chrysler da parte della Fiat di Sergio Marchionne che, dopo averla impostata l’anno scorso, ha perfezionato e completato l’operazione all’inizio del 2014 comperando dal fondo Veba il 41% della casa automobilistica di Detroit per 2,7 miliardi.
Tra le acquisizioni italiane all’estero del 2014 c’è soprattutto il segno del dinamismo delle medie imprese del cosiddetto Quarto capitalismo, che hanno capito da tempo che l’internazionalizzazione, l’innovazione e la qualità sono i pilastri del nuovo paradigma competitivo, che trova i suoi alfieri in società come Brembo, Prysmian, Amplifon, Interpump, Engineering, Datalogic, Campari e tante altre espressioni del vero Made in Italy.
Sul piano finanziario va segnalato anche in questo scorcio di 2014 il completamento dell’acquisto del restante 4% di Generali Deutschland da parte del Leone di Mario Greco per un controvalore di 228 milioni di euro, terza maggior acquisizione estera dell’anno dopo quelle di Gtech e di Fiat. Infine ci sono le sfide dell’immediato futuro, da quelle ancora riservate a quelle che già dominano la scena finanziaria come la contro-Opa lanciata dal fondo di private equity di Andrea Bonomi sul mitico ma un po’ decaduto Club Med che sta scatenando i rigurgiti nazionalisti del management transalpino guidato da Henry Giscard e che promette scintille.