Entusiasmo. Roberto Mancini ha ripetuto più volte questa parola nel corso della conferenza stampa, la prima da allenatore dell’Inter bis. Una specie di mantra quello del tecnico di Jesi, quasi volesse autoconvincersi della bontà della sua scelta. Ma in effetti l’aria attorno ai nerazzurri è clamorosamente cambiata, come se la cacciata di Mazzarri avesse cancellato tutti i problemi con un colpo di spugna. Non è così ma poco importa: l’entusiasmo, tra le tante cose, ha il potere di rendere bello ciò che bello non è, perfino in uno dei sabati più piovosi che Milano ricordi. “L’entusiasmo è la base per tornare a vincere – ha spiegato Mancini davanti alla gremitissima sala stampa di Appiano Gentile. – Ora sta a me fare in modo che tutto abbia un seguito, che i giocatori possano rendere al 200%”. Un ruggito che scuote il mondo nerazzurro a 360°, a cominciare dalla dirigenza.
“Ringraziamo Mazzarri per il lavoro svolto ma vogliamo riportare il club ai vertici mondiali – il breve “epitaffio” del dg Michael Bolingbroke. – E’ per questo che abbiamo scelto Mancini, ha esperienza internazionale e vittorie”. Le aspettative sono altissime, logico quando subentri come il salvatore della patria, per giunta con il contratto (triennale da 4 milioni netti più bonus) più oneroso della Serie A. A cui, probabilmente, faranno seguito importanti richieste di mercato, come ammesso, seppur tra le righe, dallo stesso Mancini. “Non è corretto parlarne ora, prima devo conoscere al meglio la rosa – il pensiero del tecnico. – Nel calcio però è normale puntare a vincere e per farlo bisogna dare il massimo.
Ho parlato con Thohir e Moratti, ho visto il progetto dell’Inter e ci credo”. Un po’ come dieci anni fa, quando l’attuale socio di minoranza nerazzurro (all’epoca presidente) lo scelse per coronare il sogno scudetto. Le analogie però finiscono qui, un po’ perché quelli, economicamente parlando, erano altri tempi, un po’ per esorcizzare lo spettro della minestra riscaldata. “Allora ero giovane, per me era la prima chiamata in un club come questo – ha proseguito. – A livello tecnico è difficile fare paragoni, devo prima conoscere bene tutti i giocatori”.
Già, inutile girarci intorno: i tifosi (ma anche i dirigenti) si aspettano idee chiare e precise, sul campo e sul mercato. Mancini ha cominciato subito schierando i suoi (quelli che non sono via con le nazionali ovviamente) col 4-3-1-2, modulo invocato da tutti dopo i 16 mesi di 3-5-2 mazzarriano. La rosa però non sposa del tutto le nuove esigenze, ecco perché a gennaio Ausilio sarà chiamato a un bel lavoro, seppur con la regia occulta del Mancio. I nomi girano già: Kolarov o Clichy del Manchester City, Cerci dell’Atletico Madrid, Lamela del Tottenham, Borini del Liverpool. Tutti esterni (chi più, chi meno) tecnici e duttili, per un calcio veloce e palla a terra come piace a lui. Al centro del progetto poi ci saranno Kovacic e Guarin, il primo mai esploso con Mazzarri, il secondo sul punto di andar via fino all’ultimo giorno dello scorso mercato. “Mateo può diventare un campione, lo ammiro tanto ma deve ancora crescere – l’investitura di Mancini. – Fredy è un giocatore molto importante, bisogna solo capire quale sia la posizione giusta per farlo rendere al meglio”.
La sensazione è che l’uomo di Jesi sarà molto più che un allenatore, quasi Thohir abbia voluto consegnargli l’Inter (nella sua parte tecnica s’intende) chiavi in mano. Ora comincia la parte più difficile, quella legata al campo. I risultati infatti determineranno l’eventuale bontà di una scelta che, Thohir dixit, deve necessariamente portare al terzo posto. Si partirà con Milan e Roma, giusto per mettere ulteriore pepe su un piatto già saporito di suo. Perché quando Mancini e l’Inter si incontrano nulla è banale, questo ormai lo abbiamo capito tutti.