Se era difficile immaginare un’Inter senza Moratti, era del tutto impossibile, una volta arrivato il nuovo proprietario dall’Indonesia, immaginarlo a lungo nel ruolo di presidente onorario, lui il patron del triplete, primo tifoso nerazzurro, ridotto a ricoprire una carica non operativa, un po’ da Rotary e tanto da pensionato. L’altro giorno all’assemblea di bilancio che ratificava ancora un buco di esercizio di 103 milioni era confuso tra i soci in platea, come fosse un qualsiasi piccolo azionista.
Non ha fatto alcun intervento, in silenzio ha ascoltato le parole di Mikael Bolingbroke, il nuovo amministratore delegato dell’era Thohir, che erano un atto di accusa nemmeno troppo velato alla precedente gestione. Moratti, del resto, non poteva più fare all’Inter quello che Enrico Cuccia fece in Mediobanca o Gianni Agnelli in Fiat, presidenti onorari per ragioni anagrafiche e obblighi statutari, comunque sempre indiscussi numeri uno della filiera del comando.
Da quasi un anno all’Inter tutto è cambiato, tranne gli scadenti risultati sul campo: c’è un nuovo azionista di maggioranza che sta di mese in mese rivedendo molte scelte dell’era morattiana, scelte fatte all’insegna del cuore prima che dei conti e del fair play finanziario, spesso paternalistiche e da tifoso più che imprenditoriali.
Fino all’irripetibile 2010 è stato così in casa Inter. Poi qualcosa si è cominciato a incrinare. Un po’ per le delusioni sportive dopo anni di grandi fasti, molto per i debiti e le perdite che stavano crescendo a dismisura, Moratti, anche pressato da una parte della famiglia rappresentata dal fratello Gianmarco, sempre più preoccupata per il calo dei profitti petroliferi della Saras e perciò meno disposta ai continui sperperi del pallone, aveva deciso – anche se a malincuore – di vendere la sua Inter a Eric Thohir. Si era nel novembre dell’anno scorso.
Thohir gli aveva offerto la presidenza onoraria ma ci è voluto davvero poco perché Moratti capisse di essere diventato nel mondo Inter una sorta di papa Ratzinger in Vaticano dopo l’avvento di Papa Bergoglio. Il padrone era ormai Thohir, che nel frattempo stava intensificando i suoi raid milanesi, spesso conditi da mortificanti esibizioni della squadra. Moratti ogni tanto si faceva vedere allo stadio ma da tempo aveva cessato di parlare con i media. Dopo mesi di silenzio gli è venuta voglia di dire la sua dopo Inter-Napoli di domenica scorsa, una partita riacciuffata in extremis dai nerazzurri che hanno evitato la terza sconfitta consecutiva.
A una domanda su Mazzarri, l’allenatore da lui voluto l’anno scorso prima di avviare le trattative con Thohir, Moratti si è lasciato andare a una risposta che aveva tutta l’aria di condanna: “E’ un uomo capace ma nel calcio contano i risultati!” E di risultati Mazzarri, sempre più indigesto agli occhi del popolo nerazzurro, finora ne ha ottenuti davvero pochi.
Ma Thohir, tycoon dal braccino un po’ corto, anche per non pagare un secondo allenatore, gli ha finora confermato la fiducia. Più che sufficiente al mister di San Vincenzo per rimandare al mittente le poco velate critiche dell’ex patron nerazzurro con un “non perdo tempo a rispondere…”. Un gesto di baldanza che dà l’esatta dimensione di cosa ormai contasse Moratti nell’Inter di Thohir. E il presidente del triplete e dei cinque scudetti consecutivi ne ha preso atto affidando a un comunicato formale l’addio definitivo alla sua squadra. “Nei prossimi giorni capirete il perché..”, è stata l’unica frase sibillina uscita dalla bocca dell’ex presidente.
Una frase che maschera l’amarezza del gesto ma anche fa intravedere divergenze di fondo ormai insanabili nella gestione della società di cui Moratti detiene ancora un 30%.
Una storia d’amore durata un ventennio che si interrompe, un distacco epocale dalla “beneamata” e definitivo dalla gestione Thohir sottolineato anche dalle dimissioni di tutti i morattiani rimasti nel consiglio, a partire dal figlio di Massimo, Angelomario fino a Rinaldo Ghelfi e Alberto Manzonetto.