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Intelligenza artificiale ed editori al bivio: che fare? Il ring dei contenuti

Pixabay

Una buona annata

Solo un anno fa l’intelligenza artificiale generale era un argomento da libri, da corsi universitari e da laboratori da sottoscala.

Adesso è la tecnologia del momento e già inizia ad impattare in modo decisivo settori strategici dell’economia e della società come l’industria dei media e dei contenuti.

C’è da rimanere frastornati a vedere quello che è accaduto nell’ultimo scorcio di dicembre intorno all’Intelligenza artificiale generativa e alla sua attuale più avanzata espressione, ChatGPT di OpenAi e Microsoft.

“La guerra quiescente tra i gruppi tecnologici e i gruppi media sull’intelligenza artificiale generativa, oggi è diventata guerreggiata”, scrive correttamente, a commento di questi sviluppi, Richard Waters, non il R. Waters dei Pink Floyd, ma il R. Waters che copre la Silicon Valley per il “Financial Times”.

Nel mondo dei contenuti l’AI ha prodotta un’ampia faglia: c’è chi si accorda e c’è che guerreggia. E come in tutte le guerre tendono a formarsi delle alleanze e delle coalizioni. All’interno dell’industria dei contenuti si vanno delineando due poli sulla strategia nei confronti dell’intelligenza artificiale generativa.

Polo negativo

Il più prestigioso gruppo editoriale americano, il “New York Times”, ha fatto causa a OpenAI e Microsoft per “la sistematica e la massiva” violazione del diritto d’autore nell’aver utilizzato, surrettiziamente e con fini commerciali, i contenuti del giornale per addestrare ChatGPT.

Secondo il quotidiano i mesi di negoziazione con OpenAI e Microsoft non sono serviti a stabilire le condizioni necessarie a proteggere di diritti del giornale e a trovare un corretto indennizzo per il valore della sua proprietà intellettuale.

“L’utilizzo illegale del lavoro del “New York Times” per creare prodotti di intelligenza artificiale concorrenti minaccia la capacità del “Times” di espletare il suo servizio”, così si esprime il documento presentato alla Corte di Manhattan dalla direzione del quotidiano.

Anche scrittori come John Grisham, George R.R. Martin, Jonathan Franzen e molti premi Pulitzer hanno preceduto il quotidiano di New York nel portare OpenAi davanti al giudice.

Da parte sua Getty Image ha aperto un contenzioso con Stability AI, un generatore di immagini colpevole di utilizzare la sua libreria di risorse visuali senza né compensazione, né consenso.

Alcune etichette musicali si sono mosse in modo analogo nei confronti di Anthropic un’altra promettente start-up di intelligenza generativa nella quale hanno investito Google e Amazon.

… e polo positivo

Il più grande gruppo editoriale europeo, il germanico Axel-Springer, già noto per la sua feroce opposizione a Google e ai social media aggregatori di notizie, ha invece concluso un accordo con Open AI per consentire l’addestramento di ChatGPT con i contenuti delle proprie pubblicazioni: quotidiani e periodici sul web e su carta e libri. Tra questi ci sono testate come “Bild”, “Die Welt” , “Politico”, “Business Insider”. Da non crederci!

Secondo quanto trapelato, l’editore tedesco riceverà ogni anno da OpenAI decine di milioni di euro per autorizzare l’impiego in tempo reale dei propri contenuti nei modelli linguistici di ChatGPT. Nei sommari che ChapGPT produrrà con gli articoli tratti dalle testate dell’editore tedesco sarà presente anche un link diretto al pezzo integrale sul sito web dell’editore. In questo modo procurerà anche traffico per quest’ultimo. Inoltre per il suo archivio storico Axel-Springer riceverà un pagamento forfettario del quale non si conosce l’ammontare.

Mathias Döpfner, amministratore delegato di Axel Springer e un tempo punta di diamante nel combattere gli aggregatori di notizie, ha dichiarato che l’accordo “il primo nel suo genere, vuole esplorare le opportunità per portare la qualità, la rilevanza sociale e il modello di business del giornalismo potenziato dall’AI a un nuovo e più avanzato livello.”

E non c’è solo Axel-Springer a voler salire sul treno di Trotsky dell’intelligenza artificiale generativa, c’è anche Associated Press che ha reso disponibili a OpenAI i propri contenuti.

Il piano A dei gruppi tecnologici

La strategia dei gruppi di intelligenza artificiale è di trovare degli accordi con gli editori e le società media per poter utilizzare i loro contenuti nell’allenare i loro voraci LLM. Lo si legge chiaramente anche nel comunicato di OpenAi a seguito del contenzioso con il New York Times. Dice:

“Rispettiamo i diritti dei creatori e dei proprietari di contenuti e siamo impegnati a collaborare con loro per garantire che traggano beneficio dalla tecnologia dell’AI e dai nuovi modelli economici che genera. I colloqui in corso con il “New York Times” sono stati produttivi e stanno procedendo in modo costruttivo, quindi siamo sorpresi e delusi da questo sviluppo. Speriamo di trovare un modo reciprocamente vantaggioso per collaborare, come stiamo facendo con molti altri editori.”

Probabilmente un accordo con il giornale di New York è naufragato sullo scoglio della differente stima del valore economico della proprietà intellettuale del “NYT” ai fini dell’AI.

… e il piano B

Il piano B dei gruppi tecnologici consiste nel trovare una qualche sentenza favorevole alla loro attività.

La disputa sull’AI generativa riecheggia quella sui motori di ricerca. All’epoca, i tribunali americani stabilirono che era “fair use” (cioè utilizzo corretto e consentito) indicizzare contenuti coperti da copyright quando ciò serviva per creare servizi di ricerca nuovi e “trasformativi”.

I giudici non consideravano le brevi porzioni di testo e le miniature di immagini visualizzate dai motori di ricerca sostitutivi dei contenuti originali e pertanto non c’era danno evidente per le attività delle aziende editoriali.

Nelle cause in corso, i gruppi tecnologici metteranno in campo ancora una volta l’argomento del “fair use”. Ci sono però delle notevoli differenze tra il modo di operare dei motori di ricerca e quello di risorse come ChatGPT.

I motori di ricerca, con un estratto (in genere 256 caratteri) con un link diretto all’articolo originale, generano traffico alla testata e quindi un beneficio in termini di valore. I servizi di intelligenza artificiale generativa come ChatGPT, invece, rispondendo direttamente e spesso esaustivamente alle domande poste dagli utenti, costituiscono un oggettivo sostituto del materiale originale il quale viene, però, rielaborato in modo autonomo spesso con arricchimento.

Questa situazione rende più problematico di fronte a una giuria il ricorso all’argomento del “fair use”.

A favore dell’AI

I servizi di intelligenza artificiale hanno però degli argomenti a loro favore oltre quello traballante del “fair use”.

Uno dei principali e più semplici è questo: gli editori possono agevolmente impedire all’AI di accedere ai loro contenuti se desiderano che non siano utilizzati per addestrare i modelli di linguaggio LLM. Già molti editori, compreso il “New York Times”, hanno introdotto questo tipo di firewall per tenere lontano l’AI dai loro archivi.

In questo modo però gli editori che vi ricorrono indeboliscono il loro potere contrattuale. Dal momento che i servizi di AI si sono accordati con editori della dimensione di Axel-Springer e di Associated Press per ottenere notizie e commenti avranno sempre meno bisogno di aggiungerne altri di costosa acquisizione.

Potrebbe succedere che i vari OpenAI decidano di rivolgere la loro attenzione a differenti tipologie di contenuti o a contenuti di nicchia. Seppur sostenute da investitori dalle tasche larghe e dalla borsa, le società di intelligenza artificiale non dispongono di risorse illimitate.

Gli editori che bloccano oggi l’AI, domani, se questa prende campo, potrebbero ottenere delle condizioni meno favorevoli di quelle raggiungibili oggi.

Pro e contro per le imprese media

Prendiamo ad esempio Axel-Springer che si è accordata in termini soddisfacenti con OpenAI. Anche se ricevesse 40 milioni di euro all’anno, questa discreta risorsa aggiungerebbe solo un 1% di valore ai propri ricavi. Meglio di niente, ma ciò viene con un rischio.

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Il rischio di cedere il loro pubblico di riferimento a ChatGPT e, da editori di notizie, involversi in fornitori di servizi con un brand sempre più diluito e spinto dietro le quinte da questi nuovi servizi risolutivi rispetto alle necessità del lettore.

La conclusione di Richard Waters sembra, però, adatta al momento:

“Con l’AI generativa ancora ai sui primi vagiti, è impossibile immaginare quali nuovi servizi arriveranno o il valore che avranno. Questa situazione, più di ogni altra cosa, rende difficile ai gruppi media accordarsi su una stima corretta del valore della loro proprietà intellettuale attuale e futura. Però, con l’AI generativa sempre più popolare tra gli utenti di Internet, la spinta a raggiungere un accordo sta diventando sempre più forte.”

Fonti:

Richard Waters, Media and tech war over generative AI reaches new level, “The Financial Times”, 29 dicembre 2023
Daniel Thomas, Madhumita Murgia, Axel Springer strikes landmark deal with OpenAI over access to news titles, “The Financial Times”, 13 dicembre 2023

Daniel Thomas, Madhumita Murgia, Axel Springer’s OpenAI deal sets new template for media ties with Big Tech, “The Financial Times”, 15 dicembre 2023
Tim Bradshaw, Joe Miller, New York Times sues Microsoft and OpenAI in copyright case, “The Financial Times”, 27 dicembre 2023

Alexandra Alter, Elizabeth A. Harris, Franzen, Grisham and Other Prominent Authors Sue OpenAI, “The New York Times”, 20 settembre 2023

Cristina Criddle, Madhumita Murgia, Daniel Thomas, Anna Nicolaou, Laura Pitel, AI and media companies negotiate landmark deals over news content, “The Financial Times”, 17 giugno 2023

Categories: Tech