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Intelligenza artificiale: ecco che cos’è realmente

Le Intelligenze Artificiali sono apparse per la prima volta nel 1956 ma non sono solo robot avanguardistici – Il loro sviluppo anche nel campo della finanza è impressionante

Intelligenza artificiale: ecco che cos’è realmente

Le Intelligenze Artificiali (Artificial Intelligence, AI in inglese), sono comparse per la prima volta nella nostra vita nel 1956. Nell’immaginario collettivo si pensa a robot avanguardistici capaci di prendere decisioni autonome, ma in realtà, esse sono ben più presenti in vari settori della quotidianità. Per AI si definiscono sistemi di hardware e software sviluppati di modo che siano capaci di svolgere azioni tipicamente associate agli esseri umani, come riconoscimento vocale o identificazione di elementi di interesse in un’immagine. Importante è anche la maniera in cui il sistema svolge l’attività e una delle tecniche più famose per rendere un sistema intelligente è “apprendimento automatico” (machine learning), attraverso il quale la macchina apprende dall’esperienza e, come un essere intelligente, si corregge ed impara dai propri errori.

Seppur inizialmente le AI vennero sviluppate per replicare le attività cognitive, ai nostri giorni esse sono ampiamente utilizzate per l’analisi di big data (data analysis). I big data sono insiemi di dati vasti sia in termini quantitativi che in termini di informazioni racchiuse nel singolo dato. Non solo aziende in campo informatico come Google, Amazon, IBM e Facebook, ma anche in altri settori come la medicina e la finanza utilizzano l’AI per analizzare questa mole di dati e discernere informazioni utili ad aumentare la produttività dell’azienda. Per esempio, un rivenditore di prodotti può utilizzare un algoritmo intelligente per individuare quali sono i prodotti che i suoi clienti prediligono acquisire, e così investire maggiormente in essi. L’analisi dei big data può permettere di scoprire in anticipo i servizi a cui i clienti potrebbero esser interessati, anticipando i loro desideri e assicurandosi che non vadano alla concorrenza.

La tecnofinanza (fintech) include tutte le tecnologie utilizzate per scopi finanziari. Le aziende finanziarie dispongono di enormi quantità di dati ottenuti non solo dai propri clienti ma anche dalla situazione generale del mercato. Questi dati sono inoltre qualitativamente utili, sicché includono informazioni sia sul mercato che sul comportamento umano: per esempio, è possibile studiare la correlazione tra come una certa situazione del mercato globale influenzi varie fasce della popolazione e la loro scelta di compiere determinati investimenti piuttosto che altri. Anche se da una parte questa vasta disponibilità di dati sia utile, senza appropriati sistemi di analisi essi rischiano di rimanere inutili.

Per questo motivo le aziende finanziarie stanno investendo sempre più nella ricerca e sviluppo di algoritmi di data analysis, perché essi permettono di discernere le informazioni realmente necessarie ed estrapolare relazioni non immediatamente evidenti; basti pensare che si prevede che l’investimento globale in AI sarà di 35.8 miliardi di dollari entro la fine del 2019. Le informazioni estrapolate dai servizi di AI aiutano i brokers, traders e analisti finanziari a meglio comprendere il quadro economico attuale e a sviluppare strategie di investimento. Uno dei maggiori punti di forza di questi algoritmi è la rapidità delle computazioni, che permette alle strategie di venire sviluppate in minor tempo, un aspetto utile nel mutevole mercato dei titoli finanziari.

Un altro utilizzo dell’intelligenza artificiale è nei robo-advisors, software i quali aiutano i clienti a gestire i portafogli. Attraverso un questionario iniziale, il robo-advisor raccoglie informazioni sui beni del cliente, i suoi conti finanziari e obiettivi; queste informazioni vengono utilizzate per creare un portafoglio di investimento personalizzato in base al risk profile del cliente e vi sono aziende che dichiarano che i loro robo-advisors sono capaci di aggiornare automaticamente il portafoglio in base ai cambiamenti di mercato, per garantire il raggiungimento dell’obiettivo del cliente. I promotori dei robo-advisors presentano la capacità delle macchine di analizzare il mercato e prendere decisioni “a sangue freddo” come uno dei loro punti di forza, riducendo il rischio di investimenti fallimentari, influenzati dallo stato psicologico attuale dell’investitore.

Nonostante questa sia un’osservazione ragionevole, è importante ricordare che ogni utente ha un’influenza sul mercato e non tutti si comporteranno necessariamente razionalmente; i risultati finali previsti dai software potrebbero quindi non avverarsi ed è anche per questa ragione che per adesso non si è ancora arrivati ad un’automatizzazione totale dei processi di investimento. I benefici principali delle AI in campo finanziario si possono quindi sintetizzare in: capacità di analizzare più efficientemente la mole di dati disponibili, così che gli investitori possano potenzialmente aumentare i propri guadagni. Ci sono però anche dei rischi nell’adottare sistemi di AI, specialmente per quanto riguarda l’uso etico di queste tecnologie e il mantenimento della privacy dei clienti.

Si pensi al recente caso di Facebook e Cambridge Analytica, dove la piattaforma social è stata pesantemente multata per aver permesso alla società di consulenza britannica l’utilizzo immorale e illecito di dati personali di elettori americani. Questo fatto ha dimostrato la necessità di regolamentazioni e linee guida per dirigere la ricerca in questo campo ed a Maggio di quest’anno l’OCSE a dettare i Cinque Comandamenti a cui gli sviluppatori di AI debbono sottostare nella creazione di tali macchine e software, includendo nel terzo comandamento che “ci dovrebbe essere trasparenza e divulgazione responsabile intorno ai sistemi di Intelligenza artificiale, per garantire che le persone comprendano tutto ciò che è collegato al loro utilizzo e possano sfruttare al meglio i loro risultati”.

Penso che l’OCSE cerchi di salvaguardare lo sviluppo dell’AI come una tecnologia sviluppata dall’uomo e a suo beneficio, mettendo dei paletti per prevenirne uno sviluppo incontrollato sino a non riuscire più a governarle; questo è racchiuso nel secondo punto, dove si parla di “includere salvaguardie che permettano l’intervento umano”. È importante che ci sia stata una discussione per delineare le linee guida per lo sviluppo dell’AI, anche se dopo una prima lettura i comandamenti risultano non completamente chiari: per esempio, nel quarto punto si parla di sistemi di AI che “devono funzionare in modo stabile e sicuro per tutta la loro esistenza”. Una certezza di questo genere è difficile, in primis poiché gli algoritmi che utilizzano machine learning si basano su calcoli probabilistici, che per natura non danno certezze assolute.

In secondo luogo, sembra suggerire che i sistemi di AI utilizzati dalle aziende non possano avere dei bugs o subire upgrades, perché ciò implicherebbe che vi erano errori che necessitavano di correzioni. Ma se il sistema non è più in fase sperimentale allora dovrebbe essere già “stabile e sicuro”. Il quinto comandamento detiene la maggiore importanza, poiché definisce la responsabilità dei creatori e gestori di un sistema di intelligenza artificiale. Questo si spera porterà la gente a non spingere avanti il progresso a caso, ma a vagliare le opzioni disponibili e gli effetti delle proprie scelte. Inoltre, è importante avere una persona responsabile dei risultati a cui dare la fiducia o sfiducia adeguata e non si può ringraziare o criticare una macchina per scelte prese in base a dei calcoli.

Per questo, seppure le tecnologie di AI siano ora utilizzate in molteplici campi, penso che esse non potranno sopraffare l’essere umano e in settori come la finanza o nelle prognosi mediche non si avranno sistemi completamente automatizzati. L’attrattiva dell’AI per l’analisi di dati sta nel poter venir applicata ovunque, dato che in ogni aspetto della vita è possibile accumulare informazioni. Gli esseri umani sono affascinati dal potenziale dell’AI di poter comprendere maggiormente le informazioni che abbiamo disponibili, permettendo di fare nuove scoperte o riuscire a svolgere compiti più produttivamente e limitando la fatica di dover provare altre strade che potrebbero esser meno efficienti.

È però importante ricordarsi che mettersi in gioco e sbagliare ci permette di progredire, attraverso l’apprendimento per esperienza, e ci fa comprendere l’importanza delle nostre azioni, poiché ne dobbiamo rendere conto. Ciò di cui gli umani hanno bisogno è di sviluppare una cultura su come utilizzare appropriatamente le tecnologie di AI, essere inquisitivi e imparare a non dipendere totalmente dalle macchine, ma mantenere sempre la capacità di domandarsi se esistano altre strade per il raggiungimento dell’obiettivo.
Vorrei concludere con un’osservazione sulla definizione precisa di una macchina intelligente; per quanto vi siano stati incredibili risultati nell’ultimo decennio, tra cui lo sviluppo di software capaci di competere con campioni in giochi come gli scacchi o di eguagliare se non superare gli esseri umani in compiti come il riconoscimento di determinati elementi nelle immagini, queste macchine si limitano a svolgere le attività per cui sono state specificatamente programmate.

Penso che un essere “intelligente” dovrebbe esser capace di svolgere anche altre attività, avendo non solo la conoscenza di come comportarsi, ma anche la coscienza per scegliere quale sia l’azione migliore per i suoi interessi. La coscienza di sé stessi e delle proprie capacità è una delle caratteristiche fondamentali degli umani e credo che sia necessaria per poter parlare di intelligenza. Ricercatori nel campo delle scienze cognitive si interessano ad una sua migliore comprensione, seppure ad ora essa non sia ancora stata replicata nelle macchine. Questo secondo me sarà un traguardo chiave, ma fino a quando non lo si raggiungerà non mi sento di riuscire a definire i sistemi ivi analizzati come totalmente “intelligenti”.

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