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Intelligenza artificiale al bivio: Sam Altman vuole essere lo Steve Jobs del nuovo mondo. Il ruolo di Ilya Sutskever

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BUSINESS O NO PROFIT? L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E’ AL BIVIO. SAM ALTMAN VUOL ESSERE LO STEVE JOBS DEL NUOVO MONDO. ANCHE GRAZIE ALLA CRISI DI COSCIENZA DI UNO SCIENZIATO DI ISRAELE

E’ troppo presto per sapere come finirà la prima guerra dell’Intelligenza Artificiale. Quel che è sicuro, però, è che gli sceneggiatori di Hollywood, freschi dopo il recente sciopero, non si lasceranno sfuggire un personaggio come Ilya Sutskever, 37 anni, israeliano con un master in Canada, responsabile scientifico di Open Ai. E’ stato lui, in qualità di membro forte del board, l’anima della cospirazione che a sorpresa, ha portato venerdì scorso al licenziamento di Sam Altman dalla guida di OpenAi. Ma, ancor più sorprendente, c’è pure la sua firma in calce alla lettera di 700 dipendenti (su 777) che lunedì scongiuravano lo stesso Altman di tornare alla guida della società rinunciando all’assunzione in Microsoft. Uno strano voltafaccia che ti aspetteresti da una star di una soap opera, non da un austero genio della matematica, che si è sentito tradire dalla “mancanza di trasparenza” di Altman. 

Intelligenza artificiale: l’uscita di Altman e i retroscena dei colpi di scena

Ma, ricostruisce il Wall Street Journal, anche geni hanno cuore e sentimenti. Il ripensamento di Ilya è maturato nella notte tra domenica e lunedì dopo un drammatico confronto a suon di lacrime con Anna Brockman, la moglie del presidente silurato, il principale collaboratore di Altman. Al termine del faccia a faccia con l’indomita Anna, di cui Ilya è stato testimone di nozze nel 2019, lo scienziato ha ceduto. “Farò qualsiasi cosa – ha twittato – per ricomporre lo strappo”.

Il tweet postato dal capo dei “cospiratori” Ilya Sutskever che si è poi scusato. Ha avuto 25,8 milioni di visualizzazioni

In realtà, oltre alla mozione degli affetti, ha pesato la circostanza che solo un pugno di dipendenti del gioiello di Silicon Valley si era presentato in sede domenica per incontrare il nuovo Ceo, Emmett Shear: la notte dei lunghi coltelli era finita ancor prima di cominciare. Intanto, a Wall Street cominciavano ad affluire gli ordini di acquisto su Microsoft, arricchiti dall’arrivo dell’enfant prodige dell’Intelligenza Artificiale. 

Intelligenza artificiale: il vero dilemma, profit o no profit?

Tutto come prima? Probabilmente no perché lo strappo in OpenAi, il motore primo del boom delle borse nel 2023 ancor più fragoroso del decollo di Internet a fine millennio, non dipende dagli umori dei protagonisti bensì da un vorticoso giro di miliardi dietro cui si agita un dilemma: l’Intelligenza Artificiale può essere governata da un’istituzione no profit oppure deve finire nelle mani del business e del potere? Lo statuto di Open Ai rappresenta una sorta di compromesso tra le due tendenze: a governare il sistema sono i quattro saggi del board che non possono possedere azioni ma sono del tutto indipendenti dalla società a scopi di lucro creata da Altman (che non possiede azioni di Open Ai) per cogliere i frutti del business generato dal sistema. Ma, nel corso del tempo, la controllata in cui Microsoft, forte del 49% del capitale ha investito la bellezza di 13 miliardi di dollari, ha preso progressivamente il largo. Per la soddisfazione dei dipendenti e dei ricercatori che hanno in mano una buona fetta del 51% del capitale sociale che, sotto la gestione di Altman, è arrivato a valere 90 miliardi di dollari. Un bel gruzzolo che rischia di svanire, almeno in parte, dopo l’uscita di Altman da OpenAi. Di qui una spiegazione meno nobile della mozione degli affetti che ha spinto i dipendenti a chiedere il rientro del boss.

OpenAi e Sam Altman, Steve Jobs e Apple: talenti a confronto

Ma, al di là dei problemi di portafoglio dei lavoratori di Silicon Valley, la partita che riguarda Sam Altman, ci riporta al cuore del mito americano impersonato da Steve Jobs. Anche Altman, come il padre di Apple, ha adottato il motto ”Non ho intenzione di fare le cose che chiede il mercato. Sono io che dirò al mercato dove andare”. E non sono in pochi ad aver messo a confronto i talenti di Jobs e quelli di Altman dopo che quest’ultimo ha avuto la forza ed il coraggio di lanciare un anno fa ChatGPT, superando ostacoli di ogni tipo. E siamo solo agli inizi: venerdì matina, mentre i congiurati progettavano la sua defenestrazione, Altman raccontava a San Francisco che gli iscritti a ChatGPT avevano superato la soglia dei 100 milioni di utenti e che presto la società avrebbe dimezzato il prezzo del suo software, assieme al lancio dei ChapGPT store. Altro che no profit, hanno pensato i sacerdoti della purezza nella ricerca no profit. Anche perché Altman stava attraendo nuovi partner, come il leader della cosmetica Estée Lauder o pensando ad allargare il consiglio a manager che c’entrano ben poco con l’ispirazione originaria del sistema.

E così il suo licenziamento ricorda da vicino la cacciata di Jobs da Apple nel 1985, deciso da un board che rifiutava i suoi sistemi di leadershIp piuttosto che le sue idee, troppo avanti per il tempo. E ci vollero undici anni perché Il grande Steve tornasse alla guida della Mela per vita all’iPad ed all’iPhone. Ci vorrà molto meno per rivedere Altman alla guida dell’Intelligenza Artificiale. Non sappiamo, però, con quale casacca. In realtà, come sottolinea il Nel York Times, Altman non ha una grande reputazione come scienziato o tecnologo degna dell’eredità di Steve Jobs. Ma, a 38 anni, ha dimostrato di avere l’intuito dell’uomo di business, capace di cavalcare l’idea dell’avventura come piace ai mercati. E a far propria la rivoluzione dei chips così come la sta sviluppando Nvidia, il gioiello messo a punto dall’ingegnere di Taiwan Jensen Huang, che guida la classifica dei guadagni d Wall Street, dopo aver triplicato la quotazione da febbraio. 

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