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Inps: occupazione italiana ai massimi storici (61%) ma inferiore alla media Ue e con profondi divari

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Il tasso di occupazione in Italia è al massimo storico del 61%, con un incremento significativo del lavoro a tempo indeterminato, segnalando la forte capacità di ripresa del Paese nel post-Covid. Dopo la pandemia non c’è stata la tanto temuta ondata di licenziamenti e i beneficiari Naspi (l’indennità di disoccupazione), così come gli altri ammortizzatori sociali, nel 2022 sono inferiori a quelli del 2019. È quanto emerge dal XXII Rapporto annuale dell’Inps. Che scatta la fotografia di un’Italia dei divari tra lavoratori ricchi e lavoratori poveri, tra donne e uomini, tra Nord e Sud ma anche nelle aspettative di vita in base al ruolo ricoperto nel corso della carriera.

Occupazione al massimo storico, ma sotto la media Ue

Secondo i dati snocciolati da Micaela Gelera, commissario straordinario dell’Inps, nel 2022, la crescita dell’economia ha favorito un sensibile miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro. Il tasso di attività e il tasso di occupazione sono ai massimi storici, sebbene in leggera flessione secondo gli ultimi dati di luglio 2023. Il contributo delle donne risulta significativo. A livello settoriale, invece, la ripresa dell’occupazione si è sviluppata in maniera eterogenea, con le costruzioni che hanno beneficiato delle agevolazioni fiscali, il manifatturiero che ha scontato le ripercussioni dalla complessità dello scenario internazionale e i servizi che hanno risentito del più lento ritorno alla crescita. A fronte di questi dati positivi, come detto l’economia italiana paga svariate criticità. A partire dall’invecchiamento della popolazione che rende il sistema previdenziale non sostenibile con i soli contributi, oltre al persistente divario territoriale tra Nord e Sud. C’è poi una divaricazione tra lavoro dipendente, in aumento, e lavoro autonomo, in calo. E seppur in miglioramento, i principali indicatori del mercato italiano, rimangono al di sotto della media dei Paesi dell’Unione Europea, oltre che di Francia e Germania.

Dimissioni volontarie in crescita

La ripresa economica ha, inoltre, limitato il ricorso agli strumenti di tutela della disoccupazione che, per i dipendenti, si colloca su livelli inferiori a quelli del 2019. La tanto temuta ondata di licenziamenti post-Covid non si è verificata e la Naspi, così come gli altri ammortizzatori sociali, quali la malattia e la Cassa integrazione guadagni, sono tornati a svolgere un ruolo ordinario di supporto del lavoratore in periodi temporanei di inattività. 

Differente l’evidenza del fenomeno delle dimissioni volontarie, che risulta in forte crescita (+26% rispetto al 2019).

Retribuzioni

L’aumento dei lavoratori dipendenti e il recupero dell’intensità di lavoro si riflettono sull’andamento delle retribuzioni. La retribuzione media giornaliera dei dipendenti (ad esclusione dei lavoratori domestici e degli operai agricoli) risulta pressoché stabile tra il 2019 e il 2022 a fronte di un fenomeno inflattivo contenuto fino al 2021, con forti tensioni dal 2022, dovute alla guerra in Ucraina e all’incremento dei costi energetici, ma attualmente in flessione. Si registrano poi forti differenze in funzione dell’intensità e della tipologia di lavoro: si osservano minori incrementi delle retribuzioni medie nei settori delle costruzioni, dei servizi di supporto alle imprese (in cui è compreso il lavoro somministrato) e di quelli di alloggio e ristorazione.

Il cuneo contributivo

L’Inps ha anche analizzato gli effetti del taglio del cuneo fiscale, che agisce direttamente sulla quota contributiva a carico dei lavoratori. L’analisi rivela un aumento dell’importo netto in busta paga di una media di circa 30-40 euro mensili nel 2022 e ad ottobre 2023 l’incremento lordo sarebbe di circa 100 euro, con un peso importante considerando che la retribuzione media mensile è di 1.500 euro. Mentre per i lavoratori full time e full month – che lavorano a tempo pieno e per tutto l’anno – l’ammontare medio dell’esonero arriverebbe addirittura a 123 euro.

La speranza di vita

Gli operai hanno 5 anni in meno di speranza di vita a 67 anni rispetto ai manager: 16 anni contro 20,9 anni. Più in generale, i pensionati che appartengono al primo quintile di reddito hanno una speranza di vita a 67 anni di circa 2,6 anni inferiore a quelli che appartengono al quintile con il reddito più alto, ma la differenza cresce a seconda del comparto nel quale si è lavorato e delle mansioni avute.

Le imprese 

La ripresa dell’economia ha favorito l’ulteriore aumento del numero delle imprese assicurate, salito a 1,55 milioni nel III trimestre 2022, da 1,47 milioni all’inizio del 2018, per poi ridursi leggermente nella parte finale dell’anno, recuperando, comunque, quanto perso nel 2020. Durante la pandemia, le misure di sostegno alle imprese hanno evitato la chiusura di aziende, il cui numero ha subito solo una moderata flessione rispetto alla complessità della crisi. 

Nel 2022, l’ampia e rapida crescita dell’inflazione non sembra aver avuto un effetto significativo sulla domanda di lavoro delle imprese. Solo nella seconda parte dell‘anno si è assistito ad un lieve peggioramento, con una riduzione della creazione di nuovi posti di lavoro ed un aumento della distruzione di quelli esistenti.

La spesa per pensioni

Nel 2022 i pensionati italiani erano circa 16,1 milioni, poco superiori rispetto al 2021, per una spesa di quasi 322 miliardi di cui una quota di 315 miliardi è sostenuta dall’Inps. Il 52% dei pensionati sono donne che percepiscono in media un importo del 38% inferiore a quello ottenuto dagli uomini. Nel 2022 si è registrata una diminuzione del 3% delle nuove prestazioni previdenziali, principalmente a causa del calo delle pensioni anticipate derivata dalla conclusione di Quota 100 (la possibilità di andare in pensione con un minimo di 62 anni e 38 anni di contributi). Si è poi assistito ad una diminuzione delle pensioni al superstite, presumibilmente a causa dei decessi provocati dalla pandemia.  

L’età media al pensionamento è cresciuta negli ultimi dieci anni. Quella degli uomini è passata da 62 del 2012 a 64,2 nel 2022, mentre quella delle donne da 61,3 a 64,7. Il superamento di quella degli uomini da parte di quella delle donne è legato alla diffusa discontinuità delle loro carriere che comporta ritardi nel raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione anticipata. 

Gli effetti dell’inflazione su famiglie e pensionati

L’inflazione nel 2022 ha raggiunto l’8,1%, riflettendo le tensioni dello scenario internazionale, con l’aumento dei prezzi delle materie prime e le strozzature dal lato dell’offerta, che hanno reso complesso il reperimento di alcuni beni intermedi. Di conseguenza, il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto temporaneamente, in termini reali, dell’1,2%.

L’aumento dei prezzi ha, come evidenzia l’Inps, inciso sul potere d’acquisto delle famiglie in maniera diversa, soprattutto tra le famiglie di lavoratori dipendenti e quelle di pensionati. Sono quest’ultime ad essere quelle maggiormente colpite dall’impennata dell’inflazione nel 2022, specialmente quelle appartenenti ai due quinti di spesa più poveri, che perdono tra il 2018 e il 2022 il 10,6% del reddito reale (perdita oltre dieci volte maggiore delle famiglie con solo redditi da lavoro); fortemente colpite risultano anche le famiglie di pensionati dei quinti più ricchi, con una perdita del reddito reale pari al 7,5%. 

Strumenti a sostegno delle famiglie

Nel corso del 2022 sono state introdotte misure per la conciliazione tra vita familiare e lavoro, accompagnate da modifiche di quelle già esistenti. Che secondo l’Inps stanno funzionando. A partire dalla decontribuzione che alleggerisce il costo del lavoro con percentuali e platee diverse: i lavoratori dipendenti, i giovani sotto i 36, le donne, il Sud. L’Istituto rileva che la decontribuzione per i giovani ha contribuito ad aumentare l’occupazione e anche ad alzare un po’ le retribuzioni. Mentre la decontribuzione Sud non ha avuto tale effetto e la cui adesione non è totale ma al 65%.

In crescita le percentuali di richieste per il congedo di paternità obbligatorio (64% nel 2022) e dei congedi parentali (25% per i bambini tra i 0 e i 3 anni). Il bonus asilo nido ha raggiunto 425 mila beneficiari nel 2022. Il Reddito di libertà per l’autonomia e l’emancipazione delle donne vittime di violenza è andato, tra 2021 e 2022, a 2.668 donne. Il bonus psicologo ha registrato un boom domande accolte (387 mila), ma finanziate solo 41.500. E poi c’è l’assegno unico per i figli, arrivato al 95% degli aventi diritto, una delle misure con il più alto take up mai registrato nel welfare italiano. Solo da marzo 2022 a febbraio 2023 sono stati erogati 16 miliardi a 5,7 milioni di famiglie.

Il Reddito di cittadinanza

Il ricorso al Reddito di cittadinanza, abrogato dalla legge di bilancio 2023, ha sperimentato un sensibile rallentamento. Il numero di percettori della misura aveva raggiunto il suo valore massimo a luglio 2021, con circa 1,4 milioni di nuclei familiari beneficiari. Successivamente è iniziato un trend decrescente: a dicembre 2022 i nuclei percettori erano circa 1,2 milioni, appena poco più di un milione a luglio 2023. La riduzione del numero dei percettori si è accompagnata ad un cambiamento delle caratteristiche dei nuclei in termini di aumento del valore dell’Isee. 

Come sappiamo, il Rdc è stato sostituito da due nuove misure: l’Assegno di Inclusione (AdI) che decorre dal 1° gennaio 2024 a favore dei nuclei, e il Supporto per la Formazione e il Lavoro entrato in vigore dal 1° settembre.

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