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Inps, buste arancioni: questa settimana le prime 150mila

Dopo lunga gestazione, parte finalmente l’operazione “busta arancione” dell’Inps. Il progetto prende il nome dal colore delle lettere che l’Istituto di previdenza invierà a milioni di italiani per dare loro un’idea verosimile di quale pensione avranno a disposizione alla fine della vita lavorativa.

“Questa settimana partono le prime buste arancioni, saranno 150 mila e contengono informazioni di base” sulla vita previdenziale delle persone, ha spiegato il presidente dell’Inps, Tito Boeri, a margine del suo intervento al Graduation day all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma.

Le simulazioni dell’Istituto, peraltro, sono basate su uno scenario che alcuni giudicano troppo ottimistico: “Noi ci allineiamo alle previsioni della Ragioneria generale dello Stato, che sono concordate a livello europeo, quindi lo scenario di riferimento di base sulla crescita di lungo periodo è quello”.

Ma attenzione: il vero obiettivo della busta arancione è spingere i contribuenti ad andare sul sito dell’Inps per realizzare una simulazione personalizzata più attendibile (anche se con il limite di una variazione del Pil che non si può ipotizzare più bassa dell’1%).

“È un intervento che serve moltissimo – ha aggiunto Boeri – primo perché si ricostruisce la carriera contributiva passata, si dà l’estratto conto contributivo e si chiede alle persone di verificare che i dati siano esatti. In secondo luogo, mettiamo in luce il rapporto tra i contributi versati e la pensione futura, quando sarà possibile andare in pensione e chiaramente mettiamo in luce il legame tra l’andamento dell’economia italiana, quindi crescita economica e pensioni future. Credo che questo sia molto, molto importante”.

Il presidente dell’Inps ha poi sottolineato che “in Italia c’è purtroppo una bassa cultura previdenziale e una bassa consapevolezza finanziaria, soprattutto tra le giovani generazioni, che sono quelle oggi più responsabilizzate dalle nuove regole del sistema previdenziale. Loro vogliono veramente saperne di più e pensiamo che questo servizio li spingerà ad acquisire più informazioni e a interessarsi di più”.

Boeri, infine, ha ribadito che bisogna introdurre flessibilità in uscita nel sistema pensionistico “in tempi stretti”, anche perché “c’è una penalizzazione molto forte dei giovani e dato il livello della disoccupazione giovanile c’è il rischio di avere intere generazioni perdute all’interno del nostro Paese. Noi invece abbiamo bisogno di quel capitale umano”.

Due anni senza contributi costeranno alla generazione del 1980 un ritardo nel conseguimento della pensione anche di cinque anni, portando così la possibilità di andare in pensione a 75 anni di età. “Abbiamo voluto studiare una generazione che può essere indicativa – ha spiegato il presidente dell’Inps -, quella del 1980 e abbiamo ricostruito l’estratto conto previdenziale. Abbiamo preso in considerazione i lavoratori dipendenti, ma anche gli artigiani, persone che oggi anno 36 anni e che probabilmente a causa di episodi di disoccupazione vede una discontinuità contributiva di circa due anni. Due anni senza contributi”.

Secondo Boeri, “ora se la generazione 1980 dovesse andare in pensione con le regole attuali che prevedono i 70 anni, con l’interruzione contributiva registrata ci andrà dopo due-tre o anche cinque anni perché non ha i requisiti minimi”.

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