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Innovazione tecnologica, l’Italia migliora: ecco cosa sta cambiando

Presentato a Milano il Rapporto di Ambrosetti su innovazione e tecnologia: tra i big l’Italia è ancora penultima ma migliora il suo punteggio – Il Paese non deposita brevetti ed è ancora troppo legato ai venture capital stranieri, ma arrivano segnali dalla Legge di Stabilità 2015: per proprietà intellettuale e startup i modelli sono Francia e Uk.

Innovazione tecnologica, l’Italia migliora: ecco cosa sta cambiando

L’Italia non è ancora un Paese all’avanguardia nell’innovazione tecnologica, ma lo sta diventando. E’ quanto emerge dal Rapporto della Community Innovazione e Tecnologia di Ambrosetti Club, presentato ieri al Technology Forum di Milano. Alla presenza di importanti ospiti internazionali come – tra gli altri – Aneesch Chopra, chief technology officer della Casa Bianca e Yossi Matias, vicepresidente dell’area engineering di Google, è stato rilevato che in un ecosistema innovativo dominato dalla Svizzera e da Paesi come Corea, Singapore e Israele l’Italia, pur rimanendo penultima nel campione dei tredici Paesi-ecosistemi di riferimento internazionale, migliora il suo punteggio rispetto al 2014.

“I miglioramenti vanno considerati strutturali in quanto calcolati su base triennale, e quindi non legati a un particolare exploit momentaneo”, spiega Lorenzo Tavazzi, tra gli autori della ricerca. Tra gli aspetti più positivi emerge sicuramente il capitale umano: anche se il numero di brevetti è ancora misero rispetto ad altri Paesi (0,24 brevetti ogni mille abitanti nel triennio 2011-2013, contro i 5,22 della Corea del Sud e i 2,58 degli Usa), l’Italia registra invece il terzo miglior punteggio sul fronte del numero di citazioni per ogni ricercatore (5,39). E se è vero che la quota di occupati in attività di R&S è – seppur in aumento – ancora bassa (9,8% al 2013), è altresì da rilevare che il numero degli studenti in materie tecnico-scientifiche tra i 19 e i 25 anni è assolutamente in media, e i loro punteggi sono medio alti.

Cervelli che, parrebbe, potrebbero essere sempre meno propensi a fuggire. Questo anche grazie ad alcuni interventi degli ultimi Governi, che però non impediscono all’Italia di essere ultima per lo sviluppo del venture capital, anche se l’attrattività del Paese è ancora alta e consente di avere il quarto punteggio sulla quota di R&S finanziata dall’estero (9,4%). “Va considerato un dato positivo – spiega Tavazzi di Ambrosetti – The European House – il venture capital è solo uno degli aspetti: è vero che siamo indietro e ancora troppo legati al classico finanziamento bancario, che è obiettivamente limitato rispetto ad alcuni obiettivi, ma ogni Paese ha le sua caratteristiche e in Italia il capitale di rischio non potrebbe funzionare come negli States, ad esempio. La sua importanza non va sopravvalutata e il fatto che grandi capitali esteri investano in Italia è molto positivo”.

Dunque come è stato possibile risalire in parte la china e quali direzioni bisogna ancora seguire? I modelli da seguire, secondo quanto segnalato dalla community di Ambrosetti e in parte già attuato dal Governo, sono Uk e Francia, rispettivamente per il “patent box” e per il regime di incentivi pubblici razionalizzato. Il decreto che attuerà il patent box, previsto dalla Legge di Stabilità 2015 sulla falsariga di quello varato nel Regno Unito nel 2013, sta prendendo forma in queste settimane, seguendo anche le linee guida impartite dall’Ocse. Si tratta di un’agevolazione che prevede l’esenzione Ires e Irap fino al 50% per chi ha redditi (al netto delle spese riferite al bene stesso e sostenute nello stesso anno in cui si è generato il reddito) derivanti dall’utilizzo diretto o indiretto per la concessione in uso a terzi, di beni immateriali come brevetti, marchi e opere dell’ingegno.

Per quanto riguarda invece l’agevolazione per la costituzione di nuove imprese innovative il modello è il “tax holiday” alla francese. “Anche in questo è già intervenuta la Legge di Stabilità 2015 – spiega Tavazzi – annullando, come avviene in Francia, i vincoli di accesso al bonus e riconoscendolo a tutte, indipendentemente da fatturato e forma giuridica”. A Parigi però viene coperto dall’agevolazione il 30% delle spese in R&S fino a 100 milioni (oltre, il 5%), mentre il regime italiano prevede per il periodo d’applicazione 2015-2019 un’esenzione per un massimo di 5 milioni euro l’anno per le spese in R&S inferiori ai 30mila euro, e in generale il 25% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015.

Decisamente più contorto, ma sulla giusta strada. Queste misure permettono intanto alla Francia, che come punteggio non è così davanti all’Italia, di avere un regime più attraente: non solo per i capitali esteri, come avviene nel Belpaese, ma anche nella capacità di attrazione di capitale umano straniero. La protezione della proprietà intellettuale mette invece il Regno Unito all’avanguardia nella produzione di brevetti e nella capacità di creare il miglior ecosistema di venture capital d’Europa. Senza contare che il 16% degli iscritti nelle Università britanniche è straniero.

“La leva fiscale non è però l’unico tema – ricorda Tavazzi -: c’è quello della distanza tra ricerca e mondo imprenditoriale”: dall’analisi di Ambrosetti l’Italia è infatti ultima per la quota di ricerca e sviluppo condotta nei programmi di dottorato finanziati dal settore privato (1,2% contro il 14% della Germania) e quart’ultima nell’export nei settori ad alta R&S: neanche il 9%, mentre la Svizzera esporta il 44% dei suoi prodotti tecnologici. “Università e impresa ancora non dialogano”, chiude Tavazzi, segnalando quella che forse è la vera sfida delle istituzioni, che su altro già si sono in qualche modo mosse.

Qualche sorpresa è poi arrivata leggendo l’indice regione per regione, stilato per la prima volta quest’anno: mentre infatti non sorprende vedere che la Lombardia è l’unica regione italiana fra le top 20 europee (seppur con un punteggio di circa la metà rispetto alla prima classificata, la regione tedesca del Baden-Wurttemberg), con una spesa di 4,5 miliardi di euro nel 2011 e 737 brevetti depositati all’European Patent Office nel 2010, un segnale positivo arriva anche dal Sud. In particolare dalla Campania, che si posiziona a livello delle regioni del centro-Nord con una spesa in R&S, nel 2011, di 1,24 miliardi di euro, in linea con quella di Veneto e Toscana e più del doppio rispetto a quella del Friuli-Venezia Giulia. “Il dato sorprende fino a un certo punto – spiega Tavazzi -, perché la Campania ha una forte base industriale ed è un’area altamente competitiva a livello tecnologico, grazie in particolare al polo aerospaziale”.

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