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Innovazione: la Miami Scientific Italian Community festeggia i suoi 10 anni. Parla il Presidente De Furia

INTERVISTA A FABIO DE FURIA presidente della Miami Scientific Italian Community che festeggia i suoi 10 anni – “Allarghiamo la conoscenza e i rapporti tra la realtà italiana e quella statunitense e moltiplichiamo le opportunità” – “Ricerca e innovazione non si improvvisano, serve una strategia di sviluppo a medio-lungo termine”

Innovazione: la Miami Scientific Italian Community festeggia i suoi 10 anni. Parla il Presidente De Furia

“La Miami Scientific Italian Community nasce come un centro di Innovazione ricerca e trasferimento tecnologico (sullo stesso modello delle Città Ricerche Italiane) ed è oggi l’ecosistema italiano più effervescente negli Stati Uniti”, commenta con FIRSTonline Fabio De Furia presidente della Miami Scientific Italian Community, un modello tutto italiano di business esportato in Texas e California. Ecco in questa intervista con De Furia come funziona.

Presidente, la Miami Scientific Italian Community festeggia i suoi 10 anni dalla nascita. Quali vantaggi offre all’ecosistema italiano dell’Innovazione?  

“Facilitiamo l’incontro delle piccole e medie imprese con le nuove tecnologie sostenendo, direttamente e insieme ai nostri soci, programmi di sviluppo tecnologico e la partecipazione a grant USA, misure regionali nazionali ITA o Horizon Europe. La Miami Scientific Italian Community nasce nel 2013 per volontà di Unindustria Lazio, CNR, ENEA, La Sapienza, Tor Vergata, Roma Tre, LUISS, Finmeccanica, Polo Tecnologico e Industriale di Roma, Camera di Commercio di Roma, Unicredit Group, Radio Dimensione Suono, Guida Monaci, il mio Gruppo ed un gruppo di Ricercatori Italiani giá molto attivi a Miami.

Riconosciuta anche come Associazione dei Ricercatori Italiani all’estero dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dal Ministero dell’Università e Ricerca, è, senza dubbio, tra le più attive associazioni di ricercatori italiani all’estero che si sono distinte per le iniziative condotte anche congiuntamente con il MAECI, successivamente sono nate con lo stesso modello di Business la Texas e poi la California. Fu un progetto talmente innovativo e dirompente per l’ecosistema dell’innovazione italiana negli Stati Uniti che abbiamo messo del tempo per spiegarlo, farlo capire e successivamente abbiamo accettato anche di farcelo copiare, perché il nostro mantra è che ‘non importa chi lo fa, basta che lo si fa e bene’. Noi allarghiamo la conoscenza e i rapporti tra la realtà italiana e quella statunitense e moltiplichiamo le opportunità. E di questo ne traggono particolarmente vantaggio tutti quei soggetti che riescono, attraverso la Miami Scientific Italian Community, a fare sistema e a dare risposte concrete ai problemi e alle aspettative”.

In uno scenario caratterizzato da incertezze, rischi e difficoltà, la scienza e la tecnologia, che hanno consentito una risposta in tempi e modi sorprendenti alla pandemia del Covid 19, devono fare oggi i conti con le trasformazioni, le crisi economiche e i mutamenti geopolitici. Lei che cosa ne pensa?

“La domanda di più ricerca e più innovazione deve quindi trovare risposte nuove, adeguate ai cambiamenti nel generare e utilizzare tecnologia anche rispetto al rapporto e alle trasformazioni nelle relazioni non sequenziali che portano dalla ricerca all’innovazione.

La geopolitica della ricerca, dopo due anni di pandemia e nel quadro dei nuovi scenari internazionali, vede un nuovo ruolo per le vetrine delle competenze, delle conoscenze, dei risultati. Si stabiliscono nuove relazioni con nuovi bacini territoriali di riferimento. Non vi è certamente una spinta all’autosufficienza ma la globalizzazione, anche in ambito scientifico e tecnologico, cambia pelle e si realizzano più relazioni di vicinato, dove il vicinato non è quello geografico ma quello derivante da accordi, condivisioni, partenariati strutturati”.

A dieci anni di distanza dalla vostra nascita, state trovando conferme e nuove energie per rafforzare il vostro modello?

“La creazione della prima piattaforma italiana per l’estero per lo scouting di tecnologie brevettate provenienti dal mondo della ricerca pubblica italiana fu pensata per aggiungere nella percezione del Made in Italy all’estero che l’Italia non era solo ‘Food, Fashion e Furniture’ ma che in pancia alle nostre Università e Centri di Ricerca c’erano tecnologie che potevano competere con chiunque negli USA e nel mondo.

Uno strumento nato per creare l’incontro tra università, aziende e finanziatori e che rappresentava e rappresenta il canale ufficiale attraverso il quale vengono valorizzate le tecnologie che hanno le potenzialità per trovare applicazione concreta dall’incontro e dallo scambio con il mondo dell’impresa. Una massa critica di più di 2000 tecnologie, (nel tempo si sono aggiunte anche quelle del Politecnico di Torino, dell’Istituto Italiano di Tecnologia, del Politecnico di Bari}, che spaziano in tutti i principali settori tecnologici ed industriali e tutte le informazioni contenute all’interno di ogni ‘scheda brevettuale’ sono costruite ad hoc per fornire, in maniera sintetica e chiara, le informazioni essenziali e utili a innescare l’interesse dei potenziali investitori e creare punti di contatto con le aziende. Con questo l’Italia potrà competere dovunque e con chiunque”.

Pensa che il nostro Paese abbia ancora difficoltà a porsi in una logica di sistema per realizzare piattaforme condivise ed investire maggiormente in ricerca e innovazione?

“Abbiamo sempre sottolineato che la ricerca, il trasferimento tecnologico e l’innovazione non sono qualcosa da improvvisare e che è quindi necessario avere una strategia di sviluppo a medio-lungo termine che usi la conoscenza e la competenza come acceleratori fondamentali. Nel rilancio della Scienza, Tecnologia e Innovazione oltre a fare squadra, in questa partita le associazioni giocano un ruolo essenziale, sono fabbriche di futuro, in quanto fanno coesistere i ricercatori che hanno l’attitudine a cogliere i segnali del cambiamento, e i soggetti sociali ed economici che sono in grado di tradurre i segnali in azioni concrete. Così facendo si realizzano le condizioni per rispondere alle sfide dei nuovi paradigmi della società contemporanea oggi sempre più orientati alla sostenibilità e all’inclusività”.

L’ecosistema della Ricerca all’estero ha bisogno, dunque, di una maggiore progettualità e di una visione? 

“La visione manca completamente. Essa rappresenta il risultato di un concorso di volontà e comportamenti che si affinano attraverso la concretezza degli obiettivi da perseguire, degli strumenti che si utilizzano, del coinvolgimento di chi è in grado di contribuire. Quindi, più che parlare della possibilità di accrescere le fila degli Addetti scientifici alla guida delle relazioni tra la rete diplomatica consolare e il sistema locale dell’innovazione, bisogna valorizzare quel molto che abbiamo fatto negli ultimi anni, non in maniera acritica ma come piattaforma su cui sviluppare i programmi per potersi dare una visione e gli obiettivi a lunghissimo termine in grado di mobilitare tutte le progettualità finalizzate a quel risultato.

Serve un approccio basato sulla concretezza, frutto di un dialogo, e del rispetto dei ruoli, dove su problematiche serie, le soluzioni vengano perseguite valorizzando quanto è stato costruito nel tempo.  E la diplomazia può certamente contribuire, essendo uno strumento efficace per utilizzare la conoscenza e la competenza scientifica e per finalizzare l’impegno scientifico al fine di realizzare obiettivi concreti legati alle tecnologie. E i consulenti scientifici nel Ministero, per il loro ruolo istituzionale, potrebbero favorire tutti gli aspetti della scienza, della tecnologia e dell’innovazione in grado di far progredire la diplomazia rispetto al raggiungimento degli obiettivi nazionali e globali. Dobbiamo quindi procedere nella direzione di introdurre una maggiore chiarezza rispetto agli obiettivi e ai percorsi per perseguirli”.

C’è bisogno, insomma, di un Progetto Paese e di un nuovo orizzonte con un patto rinnovato?

“A supporto di questo disegno le associazioni di scienziati italiani all’estero possono fornire un rilevante contributo, nella duplice funzione di sensori in realtà in cui la collaborazione scientifica è presente ma ulteriormente sviluppabile e di ponte tra attori, istituzioni, tecnologie e competenze per favorire scambi, sviluppi e valorizzazioni. Il processo è complesso e non facilmente semplificabile. Gli stadi di sviluppo e la capacità operativa delle singole entità sono diversificati ma la condivisione di problemi e soluzioni, nella direzione di un contributo al nostro paese in questo particolare momento giustifica una riflessione comune.

Proporre un nuovo patto, attraverso la convergenza, il confronto delle esperienze, una vetrina di quanto si sta facendo in questo momento, di quali sono i bisogni percepiti e di come può essere messo a fattor comune il patrimonio di competenze e conoscenze costituito dal ‘sistema Italia’. Una forma quindi di diplomazia scientifica che non si sostituisce a quella istituzionale ma vuole offrire un terreno addizionale che coinvolge direttamente gli operatori in forma cooperativa e condivisa, lasciando poi agli stessi la possibilità di gestire gli sviluppi senza ulteriori diaframmi. In poche parole, una opportunità che si aggiunge senza nulla togliere”.

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