Cronaca ed eventi estremi sono le uniche occasioni che i media italiani sfruttano per parlare di ambiente. Per il resto non colgono appieno la portata dei cambiamenti climatici, della transizione ecologica, della ricerca scientifica, delle azioni preventive. Sono in questa sintesi le conclusioni del Rapporto “Eco-media 2022″ curato da Pentapolis institute Ets con la collaborazione dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino. Il Rapporto ha tenuto sotto controllo la copertura delle tematiche ambientali sui mezzi di informazione italiani dal 1° gennaio al 30 settembre 2022. In buona sostanza i media italiani fanno poco o niente per approfondire le questioni che producono disastri, proteste o summit correlati a clima e ambiente. “C’è bisogno di un giornalismo più moderno, capace di connettersi con le questioni economiche. Il green, purtroppo, tende ad essere eccessivamente spettacolarizzato e non viene percepito del tutto nelle forti attinenze con il sistema produttivo”. E’ quanto si legge nelle prime pagine del documento.
L’informazione ambientale fattore decisivo per progredire
Tutti i media – chi più, chi meno- nel periodo del monitoraggio hanno dedicato spazio al crollo del ghiacciaio della Marmolada, all’alluvione delle Marche o ad altri eventi, tutti molto circostanziati. Non si parla della sciagura di Ischia in quanto avvenuta dopo la fine del monitoraggio. Pigrizia degli operatori dell’informazione, superficialità nel trattare le fonti, impreparazione nelle redazioni ? La mescolanza di più fattori ha prodotto un forte disallineamento tra le notizie specifiche e le ragioni che le producono. E’ questo il vero punto di caduta della stampa italiana. La tv resta il mezzo più potente di informazione, ma nel 2022 è stata la guerra in Ucraina il motivo principale che ha spinto le redazioni a parlare di ambiente, inquinamento e rischio nucleare. Un secondo motivo è stato l’aumento del prezzo del gas e il caro bollette. Vero è che la Rai ha dedicato all’ambiente rubriche di analisi nel pomeriggio. Tuttavia nell’informazione dei Tg, gli approfondimenti post eventi di cronaca non ci sono stati. Il pubblico, insomma, deve aspettare le trasmissioni dedicate per capire cosa c’è all’origine delle notizie dei telegiornali. La crescente domanda di analisi degli squilibri ecologici, soprattutto da parte dei giovani, non viene soddisfatta e i cali di ascolto in quella fascia di età sono chiarissimi. Dal Rapporto emerge anche una disomogeneità informativa tra i giornali cartacei e quelli online. I primi hanno più attenzione per l’economia circolare, la transizione ecologica, lo sviluppo sostenibile. Per quelli online le parole chiave più ricorrenti sono transizione ecologica, rinnovabili, cambiamento climatico e inquinamento. E molte volte restano parole chiave senza ricognizione dell’accaduto. Quanto alle radio ci sono emittenti che nonostante gli alti indici di ascolto per mesi non hanno mostrato alcun interesse per ambiente e clima.
Andare oltre la cronaca per spiegare le notizie.
Il pianeta è malato e l’informazione diventa sempre più essenziale. “I media hanno un ruolo molto importante, decisivo, di formazione e accelerazione nel centrare, per esempio, i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu”, dice Massimiliano Pontillo, direttore di Eco-Media. Cosa fare ? Ciò che serve è “un cambio di paradigma: una sostenibilità e un’ecologia del desiderio, non solo del dovere”. I giornalisti devono imparare a raccontare la sostenibilità non solo in termini di rinunce e divieti, ma anche di opportunità per migliorare la qualità di vita e costruire un futuro più confortevole per le persone e per il Pianeta. Ci sono corsi dedicati ed associazioni che curano la formazione, ma – aggiungiamo- nelle redazioni c’è bisogno di più studio, di documentazione e qualità nella narrazione. Viceversa si compromettono gli sforzi che si fanno in ambiti sociali, politici ed economici per salvaguardare l’ambiente. Come lettori e operatori dell’informazione scontiamo tutti il paradosso (evidenziato nel Rapporto) che la pubblicità è molto più attenta dell’informazione nel diffondere messaggi positivi sull’ambiente. Non è un buon segnale.