I venti dell’inflazione che soffiano dagli Usa scuotono anche le Borse europee. E a pagarne il prezzo più salato sono i titoli del settore tecnologico, scivolati ai minimi da cinque settimane.
Perde colpi Stm – 3,8%, ma anche Infineon -2,7%. La peggiore è l’olandese Adyen (pagamenti digitali) con un calo del 4%. L’indice Sox di Philadelphia dove ci sono tutti i nomi di spicco dell’industria dei semiconduttori ha perso il 4,7%, una delle più pesanti variazioni giornaliere degli ultimi mesi.
Ma il ribasso si è ormai esteso un po’ a tutti i comparti: a Milano rallentano anche le banche, l’indice Ftse Mib è sotto del 2%. Dax di Francoforte -2,1%. Anche i future di Wall Street sono impostati verso il bis del ribasso.
Ma a che si deve questo improvviso cambio d’umore dei mercati? E qual è il nesso che collega tecnologia e carovita? Il fil rouge passa dall’andamento delle obbligazioni: l’aumento dell’inflazione, testimoniato dalle materie prime ma anche dalla difficoltà a trovare addetti negli Usa ad un costo del lavoro poco attraente, alla luce dei sussidi (300 dollari a settimana) assai vicini alla paga oraria minima, si sta riflettendo sui tassi di mercato a tutto danno dell’andamento delle società in Borsa che più si sono avvantaggiate del costo del denaro a zero o poco più. In Europa, peraltro, il fenomeno si è poi allargato un po’ a tutti i comparti, dai settori più ciclici a quelli più esposti alla ripresa.
Perché adesso? Perché stasera si terrà la prima delle tre aste della settimana, si parte con Treasury a 3 anni per 58 miliardi di dollari. Una sorta di antipasto prima delle più attese aste a 10 anni e 30 anni di mercoledì e giovedì. In questa cornice il Treasury Note a dieci anni scambia a 1,61%, +2 punti base. Anche in Europa si muovono all’insù i rendimenti: , Bund tedesco a -0,17%, +4 punti base.
Inoltre, domani in Usa usciranno gli attesi dati sull’andamento dei prezzi al consumo e si capirà meglio se ha ragione la Fed, che ritiene i rialzi sotto controllo oppure i critici alla Larry Summers che ritengono che gli aiuti, eccessivi, alla ripresa hanno ormai fatto uscire il genio del carovita dalla lampada. La Fed di New York segnala che le aspettative di inflazione ad un anno sono ai massimi dal settembre del 2013 a 3,4%, dal 3,2% di marzo. Le previsioni sull’inflazione a tre anni sono però invariate in aprile a 3,1%, a conferma del fatto che si dovrebbe trattare di un’impennata temporanea.
Ma nel frattempo le indicazioni prima dell’apertura americana sono gelide: Tesla segna un calo del 4%. Apple del 2%. E c’è il mistero Amazon: perché Jeff Bezos, con una liquidità in cassa di 73 miliardi di dollari ieri ha emesso prestiti per 18,5 miliardi di dollari? Anche lui, forse, pensa che l’aumento del costo del denaro potrebbe essere meno passeggero di quanto dichiarato da Jerome Powell.